Auditorium di Mecenate

Nonostante il nome col quale viene comunemente chiamato, esso era un ninfeo-triclinio seminterrato.

Venne scoperto nel 1874 mentre si procedeva ai lavori di sterro propedeutici alla costruzione del nuovo quartiere Esquilino.

Un suggestivo ed ameno ninfeo seminterrato, coperto a volta a botte, parte di un giardino ed arricchito di vasche, fontane e giochi d'acqua. Faceva parte degli Horti Maecenatis o Orti di Mecenate (clicca qui per approfondimento). Dovrebbe risalire agli anni compresi tra il 42 e il 35 a.C.

Una costruzione tipicamente romana e tipica espressione dello stile di vita dei romani, che amavano stare al fresco, soprattutto d'estate. Una costruzione che richiamava i luoghi abitati dalle ninfe. Diventeranno ancora più comuni nell'età tardo imperiale e saranno presenza costante nelle ville urbane e soprattutto suburbane. Qui si poteva stare insieme e banchettare o semplicemente ascoltando musica o opere letterarie o semplicemente godersi il fresco, da soli o in compagnia.

In questo caso si trattava di una struttura davvero notevole in quanto si trovava in città, anche se ai suoi margini: realizzato in opera reticolata, è larga 10,60 metri e lunga 24,40. Nello spessore della volta doveva aprirsi una serie di finestre che consentivano di illuminare la sala di luce naturale; queste erano probabilmente provviste di vetrate in quanto, al momento della scoperta del sito furono rinvenute grosse lastre di cristallo antico.

Sei profonde nicchie rettangolari si aprono sulle pareti lunghe. Altre cinque, a quota più alta però, decorano l'abside.

Come di consueto nei triclini-ninfei romani, l'aula termina con una parete ricurva, un'abside, costituita da scalini messi ad arco. Proprio la presenza di questi gradini aveva fatto ritenere il luogo un auditorium, perché li si intesero come le gradinate per pubblico. In realtà, da esse doveva scendere dell'acqua che creava delle cascatelle. La posizione seminterrata e la presenza di tanta acqua lo rendevano un luogo fresco e piacevole, soprattutto d'estate; il solo suono dello scorrere e cadere dell'acqua lo rendeva suggestivo e rilassante; come detto ai romani piaceva moltissimo godersi il fresco. Addirittura essi consideravano il paradiso o comunque l'aldilà proprio come un luogo fresco! Questo era come per noi l'ambiente refrigerato con aria condizionata o le parti basse della casa in estate.

Tutto era decorato da eleganti affreschi; la zona rossa delle pareti era decorata e bordata, in alto e in basso, da fregi a fondo nero, nei quali a scene mitologiche, per la maggior parte a carattere dionisiaco, si alternano raffigurazioni di giardini miniaturistici. Sopra la gradinata ricurva ci sono arcate che erano illusionisticamente dipinte con false finestre al cui interno erano dipinte scene illusionistiche di viste su bellissimi giardini popolati da uccelli e fontane. Anche questa era una caratteristica ricorrente in strutture come queste (potete ammirare pitture così al museo nazionale Romano di palazzo Massimo. Confronto diretto e coevo sono soprattutto le pitture della Villa di Livia, detta anche  ad gallinas albas di Prima Porta). Queste, oltretutto, non facevano altro che raffigurare sostanzialmente l'aspetto reale dei giardini che circondavano l'edificio. Le piante sono organizzate in aiuole bordate da transenne e arricchite da fontane; tra le piante volteggiano uccelli, mentre anche il soffitto è decorato da fiori recisi.

Il pavimento era costituito da un finissimo mosaico bianco elegantemente bordato da una fascia rossa.

Si accedeva all’aula tramite una doppia rampa in discesa, pavimentata con opus spicatum. Essa si trovava sulla parete destra dell'aula mentre dall'altra parte, simmetricamente, c'era un altro accesso. L'accesso principale era comunque quello sul lato corto, quello opposto all'emiciclo.

Quando la proprietà passò agli imperatori, in seguito alla morte di Mecenate, il pavimento fu rifatto ad opus sectile a disegno geometrico con lastre di bardiglio e giallo antico. In questa stessa fase si procedette alla ridecorazione delle pareti con affreschi pienamente ascrivibili al III stile e quindi databili ai primi anni del I sec a.C.