Beni culturali del Parco della Caffarella

Il parco della Caffarella, con la sua valle e le sue colline e l’ameno fiume Almone che l’attraversa, è costellato di numerosi resti archeologici. Talvolta spuntano fuori inaspettati, talvolta risaltano magnifici e si vedono anche da grandi distanze. Si ammirano sepolcri, ville, torri e opere idrauliche relativi alle numerose frequentazioni e costruzioni che succedettero nel corso dei secoli, dal VI secolo a.C. in poi.

Anche per via della presenza del fiume Almone e delle caratteristiche orografiche e al facile approvvigionamento idrico, la valle fu inizialmente usata a scopo prevalentemente agricolo. Poi, in età imperiale, pur continuando ad avere vocazione produttiva, la valle divenne celebre per le ville patrizie. La più celebre fu quella di Erode Attico, oratore e politico ateniese vissuto a Roma nel II secolo d.C., vastissimo possedimento agricolo localizzato tra il II e il III miglio della via Appia ed il fiume Almone. (questa villa confluì poi nella proprietà imperiale, divenendo poi la Villa di Massenzio). Molte di queste ville avevano ampi e diffusi padiglioni, ambienti termali, giardini e fontane. Ecco perché è così comune e frequente incontrare nella valle e nel territorio del parco così tante cisterne e conserve e riserve d’acque anche di considerevoli dimensioni.

Molti edifici romani, quali mausolei o tempi o edifici abitativi vennero trasformati nel Medioevo in chiese o edifici ad uso agricolo o produttivo. Di particolare interesse sono le “Valche”, ossia le torri/mulini, costruite intorno all’XI secolo in prossimità del fiume per la lavorazione e il lavaggio dei tessuti.

Chiesa di S. Urbano alla Caffarella

Uno degli edifici più suggestivi e belli di Roma e, soprattutto di questo luogo magico che è la Caffarella-Appia Antica! Una suggestiva chiesa che si impianta in un edificio antico. Questo era originariamente forse un monumento sepolcrale o, più probabilmente, un tempio. Venne poi trasformato in chiesa nel IX secolo ed, in seguito, anche affrescato con splendide pitture murali.

La chiesa era dedicata a S. Urbano, vescovo martirizzato al tempo di Marco Aurelio (161-180 d.C.). In origine sorgeva al centro di un alto podio, oggi sepolto, che era al centro di un largo terrazzo ‘panoramico’ circondato da portici. Il suo aspetto attuale è il risultato di un radicale intervento di restauro eseguito nel 1634, sotto papa Urbano VIII Barberini.

La forma originaria della costruzione era quella di un tempietto con quattro colonne sulla fronte, su alto podio, interamente costruito in laterizio, ad eccezione delle colonne e dell'architrave in marmo. Nell’intervento seicentesco, eseguito per motivi statici, fu murato il porticato anteriore (pronao) ed aggiunti dei contrafforti negli angoli. Inoltre, si aggiunse il campanile sul tetto.

Il monumento faceva parte della vastissima tenuta suburbana "Triopio di Erode Attico": dopo la morte della moglie Annia Regilla, da cui aveva ricevuto in dote, Erode Artico lo trasformò in una sorta di santuario dedicato alla sua memoria, con templi e recinti sacri. E questo edificio doveva essere uno di quelli che maggiormente ne celebravano la memoria.

Pur essendo dedicato alla memoria di Annia Regilla, il tempio era dedicato a Cerere e a Faustina, la defunta moglie divinizzata dell'imperatore Antonino Pio (138-161 d.C.). È datato tra la tarda età adrianea e quella di Antonino Pio. Comunque, studi recenti ne hanno posticipato la costruzione all'età di Massenzio (inizi del IV secolo d.C.), in concomitanza con i lavori intrapresi da questo imperatore nella ricca villa con circo non lontana.

La cella, a pianta quadrangolare, ha le pareti interne divise in tre fasce orizzontali, la centrale delle quali è scandita da riquadri delimitati da piccole lesene in laterizio con capitelli in peperino. All'interno dei riquadri, lungo tutte le pareti dell'ambiente, nel secolo XI furono inserite pitture raffiguranti scene del Nuovo Testamento, il martirio di S. Urbano e di S. Cecilia, poi restaurate nel 1637 su iniziativa di papa Urbano VIII Barberini.

Splendida la copertura con maestosa volta a botte decorata di stucco, con partizioni ottagonali nella parte superiore e un fregio con trofei di armi alla base. Nell'ottagono centrale si individuano una figura maschile e una femminile, in processione, con offerte votive alla divinità: si tratta probabilmente di Erode Attico e Annia Regilla, a conferma dell'identificazione del tempio.

Nella cripta, al di sotto dell'altare, si ammira una splendida Madonna col Bambino fra S. Giovanni e S. Urbano. Risale probabilmente al X secolo ma potrebbe essere anche anteriore.

All'interno dell’edificio si conserva anche un altare marmoreo circolare, con la raffigurazione di un serpente attorcigliato intorno al fusto, datato alla seconda metà del II secolo, poi utilizzato come acquasantiera: dedicato a Dioniso dallo ierofante Apronianus, sacerdote che in Atene celebrava il culto di Cerere, confermerebbe l'attribuzione del monumento a Cerere e Faustina.

Ninfeo di Egeria

Probabilmente la maggiore attrazione della Caffarella è questo luogo incantato ed incantevole e fuori dal tempo. Una grotta-ninfeo, con una sorgente che sembra miracolosa o, comunque, incantata. Sembra davvero di stare in un luogo magico e come partorito da un libro di favole! Sembra di essere catapultati in un libro di leggende antiche!

È chiamato “ninfeo di Egeria” perché nel Cinquecento, dalla lettura dei testi antichi, si era ipotizzato di individuare in questo luogo la mitica grotta della ninfa Egeria, ossia la consigliera e amante del re Numa Pompilio. In realtà, la fonte e il bosco sacro di Egeria si trovavano presso Porta Capena, all’inizio della via Appia, nei pressi delle Terme di Caracalla.

Questo della Caffarella era un edificio ad uso ricreativo che veniva utilizzato per banchetti ed in generale per godersi il fresco nei mesi estivi (cosa che ai romani piaceva molto) e faceva parte della grande proprietà di Erode attico. Alcuni, invece, hanno ritenuto fosse semplicemente una fontana monumentale.

Si trova ai piedi della collina su cui si erge la Chiesa di S. Urbano ed, in origine, era una grotta naturale. Nel II secolo d.C. questa grotta venne ‘rimaneggiata’ per adibirla a ninfeo-sala per banchetti. Quello che sopravvive oggi ci consente ancora oggi di ricostruire il suo aspetto originario e, sicuramente, di emozionarci!

In origine l’edificio era costituito da due ambienti rettangolari che si intersecavano a formare una T; di fatto, si conserva solo uno di questi: coperta con volta a botte, presenta tre nicchie su ciascuno dei lati lunghi e una grande nicchia sul fondo. In essa si trova una statua in marmo di una divinità fluviale, forse il dio Almone.

È incredibilmente affascinante e suggestivo ammirare la lunga e rigogliosa e verdissima cortina di flessuosi rami d'edera che dall'alto scende ed avvolge la costruzione, quasi a volerlo amare, ornare e proteggere.

Dalla nicchia di sinistra cade un rigagnolo d’acqua. L’acqua però, in realtà, sorge dietro la parete di fondo e giunge poi nella nicchia mediante un canale nascosto dietro la parete.

In origine l'ambiente era intonacato ed, in alcune parti, anche rivestito di marmo verde antico. Le nicchie erano decorate in marmo bianco. Il pavimento era ricoperto di marmo serpentino verde. Vi erano inoltre brillanti mosaici in pasta di vetro con conchiglie e pietra pomice a imitazione di una vera grotta. Questa è una caratteristica tipica di questo tipo di ambienti che, nelle ville suburbane romane, erano piuttosto diffusi.

Una poco pregevole statua di fauno coricato si trova nella nicchia di fondo, dalla quale presumibilmente cadeva l'acqua.

Questa meraviglia non era un caso unico a Roma. Al contrario, si tratta di una tipologia alquanto frequente nelle opulente ville suburbane della Roma imperiale. Erano luoghi ameni, costruiti in modo da evocare una grotta naturale, immersa nel verde. Esempio supremo ed estremizzazione del lusso di questa tipologia è il celebre Serapeo di Villa Adriana. Nel Rinascimento questo tipo di ninfei saranno ‘riscoperti’, imitati ed anche personalmente ed originalmente reinterpretati, soprattutto a Roma (Orti Farnesiani, Villa d’Este) e a Firenze (Giardino di Boboli).

Nel settecento l'ambiente fu adibito ad osteria campestre.

Il 15 ottobre 1615 un popolano scoprì per caso l'acqua "Santa", una sorgente di acqua nella zona fuori Porta San Sebastiano, alla Caffarella.

All'inizio di colore rosso, quindi limpidissima, l'acqua diventa subito molto popolare grazie alle guarigioni, considerate per quei tempi miracolose. Sperimentandone gli effetti in prima persona, molti medici e studiosi iniziarono a descriverne le qualità benefiche e le proprietà curative nei loro libri e trattati scientifici.

La fama di quest'acqua era talmente alta che venne soprannominata "Santa". E papa Alessandro VII, guarito dalla calcolosi bevendo ogni giorno dalla fonte, decise addirittura di porre una stele, oggi purtroppo scomparsa, per ricordarne le qualità terapeutiche.

Comunque, la fonte era già nota agli antichi romani per le sue proprietà curative, viene infatti citata nelle opere di Tito Livio e di Ovidio in quanto considerata già da allora "santa e miracolosa". In particolare divenne celebre per guarire le malattie dello stomaco durante il regno di Tiberio. Era legata al culto della ninfa Egeria. Infatti, il moderno società che imbottiglia l'acqua si chiama proprio Egeria, acqua Santa di Roma!

Il Bosco Sacro

Nell’antichità sorgeva qui un antico Bosco Sacro romano, noto anche come Lucus.

Secondo una tradizione (errata), in questo bosco sacro la ninfa Egeria si incontrava con il re Numa Pompilio (il secondo re di Roma) e, dilettandosi in giochi amorosi, lo consigliava e gli dettava le leggi. in realtà, il luogo dei presunti incontri va collocato nei pressi dell'antica Porta Capena.

In realtà, questo era un lucus ‘privato’: e probabilmente già esistente nel II secolo d.C. e facente parte della tenuta di Erode Attico. In effetti, questa era una tradizione ben radicata nelle ville suburbane di età romana.

Il luogo è stato molto rappresentato da pittori vedutisti del XIX secolo. Il boschetto, che si trova in posizione dominante sulla valle, si è mantenuto senza interruzioni dall'età romana fino ai giorni nostri. A partire dal 1999 gli unici tre lecci che rimanevano sono stati rinfoltiti grazie a un intervento di nuova piantumazione che ha utilizzato 50 esemplari di quercus ilex. Data la sacralità del posto, oggi si piantano di specifiche essenze arboree in occasione della nascita di bambini, per cui ad ogni pianta è attaccato un cartellino con nome e data di nascita.

Da secoli gli alberi sono considerati sacri. Nell’antichità esistevano “leggi forestali” che spesso punivano anche severamente qualsiasi danno recato alla vegetazione.

Tomba di Annia Regilla o Tempio del Dio Redicolo

La cd. tomba di Annia Regilla è un monumento sepolcrale situato presso il fiume Almone. È chiamato anche tempio del dio Redicolo, dato che un tempo lo si riteneva tale. In realtà, la struttura era con ogni evidenza un colombario, ossia un edificio funerario atto a contenere più urne cinerarie.

Il monumento risale alla seconda metà del II secolo d.C. ed è completamente costruito in laterizio.

La tradizione lo identificava col Tempio del Dio Redicolo, ossia del dio protettore del ritorno dei Romani nella loro città. Una leggenda del XVII-XVIII secolo, infatti, identificava in questo punto, sul fondovalle della Caffarella, il "Campus Rediculi", un luogo sacro a Redicolo, il dio che proteggeva il ritorno dei Romani nella loro città dopo essere stati lontani molto tempo (i rediculi). Tale tempio è menzionato da Sesto Pompeo Festo che in un frammento cita un fanum Redicoli in un luogo imprecisato fuori Porta Capena.

Una tradizione racconta che il dio Redicolo apparve in maniera tremenda ad Annibale, in procinto di attaccare Roma, spaventandolo e facendolo tornare indietro. Oppure, Annibale avrebbe fatto marcia indietro semplicemente allarmato da una visione sfavorevole.

In realtà, come detto, il nostro monumento della Caffarella era certamente un monumento sepolcrale. Alcuni lo considerano un cenotafio, ossia una struttura che onora un defunto sepolto in un altro luogo. Infatti, data la zona in cui sorge, la valle della Caffarella, in una parte della valle che poteva essere parte della grandissima proprietà di Erode Attico, si è ipotizzato che questa potesse essere la tomba o il cenotafio della moglie Annia Regilla. Ella fu uccisa in Grecia nel 160; in seguito, il marito fece erigere nella propria villa, che ricevette in eredità proprio dalla consorte, o nei suoi pressi, la tomba o il cenotafio in sua memoria. Tali informazioni si ricavano da iscrizioni sparse (dette iscrizioni tripoee) che furono trovate nei pressi della Basilica di S. Sebastiano.

In effetti, studi recenti hanno confutato l’ipotesi della tomba, sostenendo che nelle c.d. iscrizioni tripoee non si faccia diretta menzione di una tomba dedicato a Regilla (essa, invece, si trovava in Grecia). Si farebbe piuttosto menzione di un heroon (ossia di un santuario o un monumento funerario dedicato al culto degli eroi o, comunque, di persone notevoli). Questo sarebbe stato espressamente riportato in una iscrizione oggi perduta.

Comunque, non esistono elementi che facciano ritenere necessariamente questo edificio sepolcrale quale appartenente ad Erode Attico e tantomeno rientrante all’interno della sua tenuta. In effetti, è evidente che fosse un colombario: dentro, infatti, ci sono più nicchie che dovevano quasi certamente contenere urne cinerarie.

La costruzione è veramente splendida ed elegante e, soprattutto, eccezionalmente molto ben conservata! Rapisce immediatamente gli occhi per la sua bellezza e grazia. Contribuisce all’effetto complessivo soprattutto la sua decorazione, ottenuta con i laterizi di due colori differenti: il rosso ed il giallo. Quest’ultimo colore per le pareti piane ed il rosso, invece, per gli elementi architettonici quali frontoni, architravi e lesene con capitelli corinzi. Inoltre, guardando meglio, si notano anche delle bellissime decorazioni in cotto, tra le quali soprattutto un bel fregio in cotto con motivo a meandro.

La bicromia rosso-giallo contribuisce a rendere l’edificio ancora più bello ed armonico; inoltre essa movimenta l’aspetto della costruzione, con effetto di grande gradevolezza. Ricca è l'ornamentazione della trabeazione; splendide le finestre, con delicate ed al tempo stesso elaborate decorazioni. Il tutto è reso ancor più magico dalla cornice naturalistica verde che lo circonda.

L'edificio ha pianta quadrangolare e misura 8,16 x 8,57 metri ed ha l’aspetto di un tempietto su alto podio. Imita il tempio pseudo-periptero di tipo italico e di ordine corinzio ed in origine era, molto probabilmente, prostilo: aveva, dunque, una fila di (probabilmente quattro) colonne non limitate da ante, cioè ‘libere’. Ma questo avancorpo è andato perduto (ed i materiali certamente reimpiegati altrove).

Questa tipologia di sepolcro diventerà in futuro molto frequente a Roma, soprattutto nell’età degli Antonini (II sec. d.C.). I più celebri e meglio conservati si trovano a poca distanza da qui, nel parco delle tombe della via Latina. Altri esempi sono quelli che si trovano al IV miglio della via Appia, sulla via Nomentana ("Sedia del Diavolo"), sulla via Latina, all’incrocio con l’odierna via Vescia (nei pressi di piazza Galeria).

L’edificio ha la fronte rivolta a nord verso l’Almone, il fiume venerato come una divinità dai Romani che attraversava il fondovalle della Caffarella per dirigersi poi verso l’Urbe. Una gradinata consentiva di scalare il podio largo tre metri. Sopra alla porta di accesso c’è una bella ed elaborata nicchia semicircolare, sormontata da un timpano ad angolo molto acuto. Doveva probabilmente accogliere una statua.

La parete sud è quella più ornata, forse perché si affacciava sulla strada che collegava la via Appia alla via Latina. (Questo importante tracciato antico, che alcuni studiosi hanno identificato con l’antica via Asinaria, attraversava diagonalmente la valle della Caffarella. La via iniziava dalle Mura Aureliane ed incrociava poi la via Latina, per poi passare, appunto, nei pressi del nostro edificio funerario. Successivamente incrociava l'Appia antica costeggiando il Mausoleo di Romolo, per congiungersi poi con la via Ardeatina). Su questo lato le lesene sono sostituite da due semipilastri poligonali, incassati nella parete. Si notano anche due vani rettangolari cavi, come ‘svuotati’, che sono ornati con elaborate cornici: essi dovevano molto probabilmente contenere delle iscrizioni in marmo oppure dei ritratti scolpiti nel marmo.

L'interno aveva originariamente due piani ma il pavimento che separava i due piani è crollato. Nelle pareti interne si vedono più nicchie, che dovevano ospitare le sepolture di più persone. Al piano superiore, dove dovevano aver luogo i riti funebri, si aprivano finestre, mentre quello inferiore ne era privo. Questo genere di edifici funerari aveva generalmente il piano inferiore utilizzato per le tumulazioni mentre quello superiore veniva utilizzato per le cerimonie funebri (sia quelle susseguenti la morte, sia quelle di commemorazione).

In età medievale sorse a ridosso della costruzione una torre, una delle cinque della valle, poste a guardia dei valichi del fiume Almone. Le fondamenta della torre sono oggi incorporate nel vicino casale. Si installò, inoltre, una valca, ossia un edificio preposto al lavaggio e al pestaggio dei panni. Il complesso è riportato nella carta di Eufrosino della Volpaia del 1547 nella quale si vede come esso sia costituito da una torre affiancata da un corpo più basso. Successivamente la valca venne trasformata in mulino per i cereali. Ecco quindi che il nostro monumento sepolcrale venne usato come fienile e ciò continuò per molto tempo, compromettendo alcuni elementi legati all'originaria funzione, ma permettendone la conservazione.

Nel XIX secolo, alimentato da un piccolo acquedotto, il complesso era inglobato in un casale di proprietà della famiglia Torlonia e conosciuto come "Mola della Caffarella"; essa rimase in funzione fino al 1930. Oggi il complesso viene chiamato “Il Casale dell'ex Mulino”, ed è di proprietà della Fondazione Gerini ma dal 2001 è stato preso in affitto dall'Ente Parco che ne ha fatto un Centro per Educazione ambientale ed attività ricreative. Il Sepolcro appartiene al patrimonio di Roma Capitale.

Fu oggetto di studio e venerazione da parte degli artisti rinascimentali quali Brunelleschi, Bramante Raffaello e Giuliano da Sangallo. E fu proprio questo edificio ad ispirare la grande architettura del Cinquecento in cotto!

Colombario Costantiniano

Nonostante il nome col quale è comunemente noto, questo suggestivo edificio non era stato costruito per contenere sepolture ad incinerazione (Il colombario, infatti, è l’edificio funerario caratterizzato all’interno da piccole nicchie destinate accogliere le urne cinerarie). Questo edificio, invece, conteneva solamente deposizioni ad inumazione. Inoltre, con ogni probabilità, esso non è inquadrabile all'epoca di Costantino (ossia alla prima metà del IV sec. d.C.), bensì all’epoca traianea (e quindi agli inizi del II secolo d.C.).  In effetti, tipici di quest’epoca sono gli edifici sepolcrali come questo, ossia caratterizzati dal canonico tipo "a tempietto".

Il nostro edificio è realizzato in laterizi gialli per le parti strutturali e rossi per i particolari decorativi ed era, a suo tempo, inserito all'interno di una più vasta necropoli. Ha una pianta rettangolare di m. 5.40 x 7.80. Come di consueto in questo tipo di edifici, la struttura era posta su un alto podio che era accessibile grazie ad una gradinata presente sul lato frontale. Essa oggi è solo parzialmente conservata.

L’edificio aveva due piani e si accedeva tramite una porta presente sul lato lungo. All'interno del basamento era ricavata la cella funeraria, che prendeva luce da strette feritoie "a bocca di lupo". L'ambiente superiore era, invece, destinato alle cerimonie funebri e alle celebrazioni rituali; aveva un grande arcosolio sulla parete di fondo, che accoglieva forse la deposizione principale nonché una serie di nicchie per l'esposizione dei ritratti degli antenati. Entrambi gli ambienti, la cella inferiore e il vano superiore, erano coperti da volte. All’interno restano tracce di intonaco e i segni lasciati dalle lastre di marmo che rivestivano le pareti. Questo genere di edifici funerari aveva generalmente il piano inferiore utilizzato per le tumulazioni mentre quello superiore veniva utilizzato per le cerimonie funebri (sia quelle susseguenti la morte, sia quelle di commemorazione).

Come detto, questo sepolcro faceva parte di una più ampia necropoli. Le altre tombe furono eliminate, nella metà del sec. XVI, per poter ottenere maggiore terreno per l’agricoltura. Nell’ambito di questi lavori il sepolcro fu, oltretutto, trasformato in mulino! Esso rimase poi in funzione fino al XVII secolo.

Del resto, le indagini archeologiche hanno messo in luce, oltre alle strutture dell'impianto idraulico e meccanico del mulino, anche precedenti interventi di ristrutturazione: e si è capito che, molto probabilmente, che anche in precedenza l’edificio – più precisamente la cella funeraria – era stata utilizzato come valca, alimentata da un condotto interrato.

Tutto ciò comportò numerose modifiche all’edificio originario. Si possono notare ad esempio le tamponature di alcune finestre con blocchetti di tufo e mattoni, o lo scavo alla base di una nicchia per ottenere un lavello.

Nel Seicento fu riutilizzata come abitazione.

Torre Valca

La Torre Valca riutilizza un precedente edificio romano e risale al XII – XIII secolo, periodo in cui la famiglia Caetani fortificò la zona con torri di avvistamento a controllo dei nuovi fondi acquisiti. In effetti, questa famiglia, proprio alla fine del XIII secolo, si era impadronita del sepolcro di Cecilia Metella e dei terreni circostanti, in precedenza appartenuti ai conti di Tuscolo.

La posizione della torre in questo settore della valle va messa in relazione con un probabile passaggio sul fiume di una delle strade di collegamento fra la via Appia e la via Latina: infatti, sul greto dell'Almone che lì scorre, e proprio in corrispondenza della struttura, sono presenti scarsi resti di un ponte. Queste rimanenze lo fanno ritenere di epoca anteriore alla torre.

La torre ha subito numerose ristrutturazioni. Originariamente era un corpo a pianta quadrangolare a più piani sovrapposti, divisi da solai in legno. Ciò lo si deduce dai fori delle impalcature visibili sui muri. Dato che mancano impronte riferibili a scale, è logico dedurre che i piani fossero collegati da elementi lignei mobili.

Le murature sono rivestite da blocchetti di peperino, alternati talvolta a blocchetti di tufo giallo. Sui lati nord, est e sud si aprono finestre di avvistamento di forma rettangolare. L'ingresso, sul lato ovest, opposto al corso del fiume, é costituito da un arco con ghiera in laterizio che occupa l'intera facciata. L’ingresso è inquadrato da un breve avancorpo decorato da mattoni di età romana.

All'esterno dell'edificio è stato rinvenuto un grande condotto idraulico con portata analoga a quella di un acquedotto; esso era probabilmente collegato ad un canale i cui resti sono stati individuati a sud della torre. La torre, quindi, in un momento cronologico non determinabile, pur mantenendo ancora una principale funzione di difesa, venne inserita in un articolato sistema di canalizzazioni, che rimase in uso fino all'età rinascimentale.

La presenza di due piccole vasche, il ritrovamento di un canale ad esse pertinente e di una serie di accumuli ricchi di scorie fanno supporre la presenza di una sorta di officina. In effetti, è noto dalle fonti che nella valle della Caffarella fossero presenti, intorno all'anno 1000, numerose valche, ossia edifici con vasche, adibiti al lavaggio ed al pestaggio dei panni (tale nome deriva dalla parola gualchiera). In queste strutture le mazze erano messe in movimento dalla ruota del mulino ad acqua. Dato che i resti rinvenuti sono pertinenti ad un impianto che prevedeva l'utilizzo dell'acqua per il suo funzionamento, potrebbero dunque molto probabilmente essere interpretati come strutture di una valca. Gli scavi archeologici fanno ipotizzare che la struttura produttiva non funzionasse più a partire dal Cinquecento.

Cisterna romana nei pressi dell'Appia Pignatelli

La cisterna molto probabilmente apparteneva e serviva una delle celebri ville romane di età imperiale della zona e serviva ambienti termali, giardini e fontane.

Questa cisterna è veramente di considerevoli dimensioni ed è situata tra la chiesa di S. Urbano e via dell’Almone. La sua datazione non è certa: potrebbe forse risalire al I secolo d.C.

La struttura misura circa 21 metri di lunghezza e quasi 7 d’altezza ed era in origine interrata, per contenere al meglio le spinte dell’acqua conservata all’interno. Fu scavata solo a seguito dei grandi sbancamenti che interessarono questa zona tra la tarda età imperiale (IV-V secolo d.C).

Oggi della struttura originaria resta solo il nucleo in calcestruzzo e scaglie di selce. Nella parte bassa dei muri esterni sono visibili tracce di murature successive alla costruzione, molto probabilmente usate come rinforzo dopo gli sbancamenti.

All’interno è presente un pavimento in cocciopesto e le pareti sono intonacate. I lati corti hanno una forma semicircolare, mentre la volta è ad angolo acuto.

Nel corso dei secoli, dopo l’abbandono, la struttura fu utilizzata come magazzino o abitazione o forse come torre d’avvistamento e di difesa, come sembrano ben suggerire le merlature nella parte superiore.

Cisterna - Fienile Torlonia

Fu costruita nel periodo compreso tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale (fine I secolo a.C. - inizi I secolo d.C.) ed è forse riferibile ad un impianto residenziale i cui resti sono stati rinvenuti tra via Carlo de Bildt e il casale della Vaccareccia.

La cisterna è realizzata in opera cementizia di scaglie di leucitite ed ha una pianta rettangolare che misura circa 14 x 5,50 metri.

La denominazione di cisterna-fienile si deve alla trasformazione della struttura in fienile, avvenuta tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Fu la famiglia Torlonia, nuova proprietaria della Tenuta (prima appartenuta alla riserva Tarani), ad avviare degli importanti lavori di ristrutturazione. In quell’occasione, venne realizzato anche un piano superiore, che aveva la funzione di deposito (soprattuttodel foraggio secco).

L’edificio subì un crollo nel 2011 in conseguenza del quale si avviò un intervento di restauro e consolidamento.

 

Cisterna Circolare

I pochi resti ancora visibili, che emergono dal terreno solo per pochi centimetri, appartengono ad una cisterna circolare di età romana, del diametro di oltre 30 metri, costruita in cementizio e schegge di selce.

Lo spessore ridotto delle murature ha fatto ipotizzare che non fosse munita di copertura e che fosse pertanto una conserva a cielo aperto, utilizzata per la raccolta dell’acqua piovana poi ridistribuita ad uso agricolo.

Cisterna Ninfeo

Tra le tante cisterne presenti nella Caffarella, la cosiddetta Cisterna-Ninfeo è quella più prossima alla Via Latina. Si tratta di un edificio a pianta rettangolare, con una lunghezza di quasi 10 metri, costruito in opera laterizia, che presenta la singolare caratteristica di avere nel lato sud cinque speroni sporgenti che formano tre aperture ad arco. La presenza di questo ornamento, atipico, ne ha fatto ipotizzare un utilizzo parallelo come ninfeo ossia una fontana monumentale. La sua costruzione è forse da mettere in relazione con una villa antica di cui si conservano resti nei paraggi dell’antica Via Latina.

Nessun dato certo è emerso, al momento, sull’approvvigionamento idrico della cisterna, che, tuttavia, per datazione e vicinanza fisica, poteva forse essere alimentata dall'acquedotto Antoniniano.

In età tardo antica (grosso modo nel IV-V secolo d.C.) la struttura cambiò d’uso, certificato dal ritrovamento di materiali riferibili a sepolture. Successivamente la struttura subì alcune trasformazioni più cospicue, che interessarono l’interno dell’edificio, con la realizzazione di aperture nel pavimento e di una scala che conduce ad un ambiente sotterraneo, e con la costruzione di una vasca che secondo alcuni studiosi serviva alla pigiatura dell’uva.

Cisterna Monumentale sopra Vigna Cartoni

Sorge su un poggio dominante la valle della Caffarella, in magnifica posizione panoramica. Faceva parte di una villa romana che godeva di viste davvero magnifiche! Dato l’abbondante affiorare, in tutta l'area, di molto materiale ceramico ed edilizio, è del tutto probabile che vi siano molte strutture antiche ancora da scoprire nel sottosuolo.

È un grande serbatoio munito di otto potenti speroni sul fronte a valle, che funge anche da sostruzione della scarpata naturale: realizzata scavando in parte nel banco di tufo, è impostato su un terreno in forte pendenza da Nord a Sud.

È costruita in opera cementizia a scapoli di lava basaltica. Ha un altezza di circa 8 metri e una superficie di circa metri 37x12; ha pianta rettangolare, articolata in due navate longitudinali coperte da volta a botte, comunicanti attraverso cinque aperture ad arco aperte nel muro divisorio e due navate perpendicolari sui lati brevi.

Solo la navata nord e l'ambiente ortogonale ovest conservano integralmente la copertura con volta a botte.

La struttura è databile alla prima età imperiale romana ed è da ascrivere alla categoria dei “serbatoi a camere parallele comunicanti”, che accumulano acqua proveniente da un acquedotto; il volume d'acqua che poteva contenere è di circa 1500 metri cubi. Allo stesso complesso sono probabilmente da riferire le antiche strutture su cui è impostato il sottostante casale di Vigna Cartoni.

Nel corso dei secoli la struttura ha suscitato l'interesse di artisti e studiosi: nel XVI secolo il manufatto fu disegnato da Pirro Ligorio; è presente nella carta del primo tratto della via Appia di Pietro Rosa (1853-54) con la definizione "villa antica” e in uno schizzo di Rodolfo Lanciani relativo alla Vigna Pisani. Anche l’archeologo Thomas Ashby descrisse la struttura nel 1907 nel suo studio sulla topografia dell'antica via Latina.

Negli anni '60 Il serbatoio era utilizzato come magazzino ad uso agricolo, con manufatti rurali aggiunti sul fronte a valle. Nel 1978 ci fu un crollo parziale della struttura, a causa di un terremoto. In seguito la cisterna fu messa in sicurezza e restaurata dal Comune di Roma. Questi lavori furono realizzati nell’ambito di un più generale intervento condotto dal Parco Regionale dell'Appia Antica nell'ambito del POR 2007/2013 Cultura dell'Acqua in cui si sono messi in luce questo e alti manufatti idraulici. Ciò in collaborazione con la Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale proprietaria dei beni, e la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, competente per la tutela.

Boschetto della Marrana

Esiste nel parco della Caffarella una grande zona umida, con un bel bosco che non è accessibile, in quanto recintata per motivi di sicurezza. Stiamo parlando proprio di questo bel boschetto. 

Questo suggestivo ed intricato boschetto sulla marrana è ciò che rimane di un impianto artificiale di pioppi neri, che fu piantato per rifornire la produzione di legname e di cellulosa destinata alle cartiere romane. Oggi, invece costituisce un importante unico importante lembo di bosco umido. Dato che i pioppi hanno raggiunto l'età di oltre 50-60 ed hanno dunque raggiunto la fine del loro ciclo vitale, essi sono più esposti a numerose patologie e parassitosi, dovute a funghi ed insetti che si nutrono del legno scavando gallerie nel tronco. I frequenti crolli dei fusti morti costituiscono pertanto un pericolo per chi visita il parco.

Non è, invece, pericoloso per gli animali e, soprattutto, per la flora: il boschetto artificiale, infatti, è diventato - con la recinzione - ancor di meglio sfruttabile da essa e viene, infatti colonizzato ancor meglio da numerose specie vegetali spontanee, quali rovi, felci, arbusti ed alberi legati, come i pioppi, agli ambienti umidi.

L’area ospita numerosi insetti, funghi ed uccelli alcuni dei quali di interesse ecologico, come il Picchio rosso maggiore e minore, il Picchio verde. il Torcicollo, il Rampichino.

Ed è interessante notare come la chiusura per motivi di sicurezza si sia trasformta in un'interessante occasione di studio. tutela ed osservazione di un fenomeno naturale che si produce senza intervento diretto dell'uomo.

 

Stagno della Caffarella

Nel 2004 l'Ente Parco ha creato artificialmente questo laghetto, deviando le acque della Marrana di destra, che spesso esondavano, danneggiavano i terreni agricoli circostanti. Ciò si è immediatamente tradotto nella creazione di una fantastica "area di sosta e di servizio" per gli uccelli!

Infatti, da subito è iniziato un processo di colonizzazione dello specchio d'acqua da parte di animali e piante tipiche delle zone umide. Gli uccelli, insomma, hanno ringraziato e subito 'preso possesso' dello stagno! L'area è stata protetta, circondandola con recinzioni che ne permettessero, comunque, la vista. E si è costruita una bella struttura in legno, postazione di birdwatching liberamente accessibile a tutti!

Questo stagno e l’adiacente Boschetto della Marrana sono un tesoro inaspettato a due passi dal centro di Roma! Uno di quei luoghi magici ed incantati e pressoché incontaminati di cui, in fondo, Roma è piena! ...ma noi non ce ne accorgiamo dato che, troppo spesso, non abbiamo occhi per vederlo oppure, semplicemente, compiamo ogni giorno sempre lo stesso itinerario, quasi coi paraocchi, senza guardare attorno ed esplorare!

È incredibile! Per fare del rilassante birdwatching e rilassarsi ammirando uno specchio d’acqua non c’è bisogno di uscire dalla città! Anzi, ci troviamo a ridosso delle Mura Aureliane dove, oltretutto, c’è un enorme parco verde e pieno di fantastici ed affascinanti ed importanti resti archeologici! E si possono ammirare uccelli di ogni specie! E li puoi vedere tranquilli e rilassati, dato che hanno un ecosistema del tutto consono a loro ma senza che le persone possano andarci (ma possono ammirarli bene, grazie alla bella e funzionale struttura in legno!) È bellissimo e quasi disarmante vedere tutti quegli uccelli, così tanti, così diversi, stare tutti lì e poterli vedere così facilmente, nel pieno centro di Roma!

È incredibile come tutta questa fauna abbia immediatamente colonizzato lo stagno! Ci ricorda come essi vivano in fondo sempre con noi, anche in stretto contatto, ed in fondo basta davvero poco per vivere insieme ancora meglio, rispettando i bisogni di tutti, di noi e di loro! Basta poco per rispettarli e per renderli felici!