Giacomo Boni

Giacomo Boni ha diretto gli scavi archeologici nel Foro Romano e sul Palatino agli inizi del Novecento (dal 1898). Pur non avendo formazione accademica fu da subito geniale ed innovativo nei suoi scavi ed anche rigoroso scientificamente. Tutto ciò lo portò a scoprire rapidamente reperti importantissimi per la storia (soprattutto quella arcaica) di Roma.

Si trattò sostanzialmente dei primi veri scavi archeologici moderni nel Foro. Prima degli scavi diretti da Boni, moltissimi dei monumenti che siamo abituati a vedere erano pressoché totalmente interrati! Inoltre, moltissimi di essi erano, di fatto, pressoché sconosciuti e noti solo grazie alle fonti antiche! Di fatto, il Foro Romano, come siamo abituati a conoscerlo e a vederlo, coi monumenti liberati, è merito dei suoi scavi!

Giacomo Boni nacque a Venezia il 25 aprile 1859. Date le ristrettezze finanziarie della famiglia fu presto avviato al lavoro pratico in vari cantieri edili e di restauro – tra i quali anche quello di Palazzo Ducale – e, grazie a ciò acquistò grande padronanza nel disegno sia tecnico che artistico. Grazie a queste doti poté venire a contatto con la cerchia di artisti britannici che lavoravano a Venezia per conto di John Ruskin.

Boni aderì alle critiche espresse da Ruskin e dalla Society for the Protection of Ancient Buildings di William Morris sulla conduzione dei restauri dei monumenti. Con questi personaggi e soprattutto con gli architetti Philip Webb e William Douglas Caröe ebbe stretti rapporti epistolari ed anche tramite essi poté maturare ed affinare il proprio pensiero sulla conservazione dei monumenti e delle opere d'arte.

Grazie all'appoggio di Carlo Alberto Pisani Dossi e Primo Levi, legati al I governo Crispi, nell'aprile del 1888 Boni si trasferì a Roma per entrare nel quadri del Ministero della Pubblica Istruzione.

Nei dieci anni successivi Boni lavorò a stretto contatto con funzionari come Adolfo Venturi e Francesco Bongioannini e si impegnò in una infaticabile opera di ispezione ai monumenti – soprattutto medievali –  in tutto il territorio italiano, con particolare attenzione per quelli del Mezzogiorno, dove svolse un ruolo importante nel restauro della cattedrale di Nardò.

I numerosi articoli pubblicati e le relazioni inviate al Ministero testimoniano della sua stupefacente capacità di cogliere con immediatezza le problematiche del monumento e di indirizzare correttamente gli interventi di conservazione.

Forte di questa vasta esperienza pratica, egli contribuì in quegli anni, con bozze di regolamenti, alla formulazione di progetti di per la tutela. Ben introdotto nell'ambiente culturale e mondano della capitale, venne coinvolto, tra il 1895 e il 1897, dal Barone Alberto Blanc nella costruzione e nell'arredo della sua villa sulla Nomentana, dove applicò con grande inventiva soluzioni tecniche innovative e coordinò l'opera degli allora giovani Alessandro Morani e Adolfo De Carolis, da lui appositamente scelti per la decorazione dell'edificio.

Nel 1898 Boni venne assegnato all'ufficio scavi del Foro Romano, con compiti di riordino del materiali dei precedenti sterri tardo ottocenteschi. Ma, ben presto, per impulso anche del ministro Guido Baccelli, egli cominciò un’intensa serie di indagini archeologiche che porteranno a delle importantissime scoperte. Queste troveranno un’ampia risonanza nella stampa.

Egli venne però guardato con diffidenza dall'ambiente accademico, dato che egli non aveva compiuto studi accademici specifici storico-artistici-archeologici ma era, come già detto, un uomo di formazione tecnica. Oltretutto, era un neofita nel campo dell’archeologia.

Eppure, nonostante ciò, egli ebbe subito geniali ed innovative. Ad esempio, l’idea di spostare la ricerca verso le fasi arcaiche di vita del Foro, che mai erano state intercettate sino ad allora. Oltretutto, scoprì immediatamente reperti sensazionali come, ad esempio, il Lapis Niger (1899) e il Sepolcreto preromuleo lungo la Via Sacra (1901).

Grazie alla larghezza di mezzi e di operai messi a disposizione dal Ministero, gli scavi coprirono ampie aree del Foro (Basilica Emilia, tracciato della Via Sacra, Comizio, Tempio di Vesta, S. Maria Antiqua, ecc.). E va segnalato che nelle indagini venne molto spesso applicato, anche se non costantemente, un rigoroso quanto innovativo metodo stratigrafico. E ciò in tempi in cui erano ancora lontani i rigorosi metodi odierni, in cui si documenta scrupolosamente tutto ciò che si fa e si tenta di tenere traccia di tutto e di conservare il ricordo di ciò che è andato perduto per effettuare lo scavo. Del metodo Boni pubblicò anche una formulazione teorica. Tutto ciò fu, inoltre, affiancato da una scrupolosa documentazione grafica e fotografica, addirittura con il pionieristico utilizzo dell’aerofotografia. La scoperta degli affreschi di S. Maria Antiqua, di quelli di S. Saba e quello cd. di Turtura stimoleranno una nuova stagione di studi sull’arte bizantina a Roma, che porrà nuovamente al centro del dibattito internazionale.

La scoperta degli affreschi bizantini di S. Maria Antiqua (VI-IX secolo) stimolerà molto l’ambiente culturale romano e contribuirà anche alla definizione del nome di “Roma bizantina” che si diede a certa parte della società dell’Urbe del tempo. Parliamo ovviamente della “Roma bizantina” che prese forma tra Ottocento e Novecento:  quella dei salotti mondani, dove politica e cultura si intrecciarono, degli elzeviri della Cronaca Bizantina, la testata giornalistica fondata da Angelo Sommaruga nel 1881; del decadentismo letterario ed artistico del D'Annunzio e del Sartorio; della ventata neo-bizantina che attraversa l’architettura e le arti visive.)

Nel 1908 Giacomo Boni creò il “museo del Foro” all'interno del convento di S. Francesca Romania/S. Maria Nova, per presentare al pubblico i risultati delle sue ricerche nel Foro.

Esemplari sono i criteri che egli adottò nell'allestimento del museo che, secondo il suo progetto, sarebbe dovuto diventare un centro culturale di ricerca e studi. Nella presentazione dei materiali viene rispettata l'integrità dei complessi riportati in luce, in base alla convinzione che i singoli reperti mantengono il loro valore storico-archeologico solo se esposti all'interno del contesto di provenienza.

Significativa a questo proposito è la presentazione al pubblico dello scavo del sepolcreto presso il Tempio di Antonino e Faustina dove per ogni tomba viene ricostruito l'intero contesto, considerando allo stesso livello di importanza tutti i tipi di reperti: manufatti, resti antropologici, botanici, faunistici.

In questo periodo Boni venne nominato anche Commissario dell'Ufficio Monumenti per il Veneto, in occasione del crollo del Campanile di S. Marco nel 1902.

Nel 1907, anche per effetto delle polemiche sorte attorno allo scavo sul Palatino condotta da Dante Vaglieri, quest'area viene accorpata a quella del Foro sotto la direzione di Boni.

Gli scavi al Palatino ebbero meno clamore dato che si concentrarono in aree del palazzo già individuate negli scavi settecenteschi. E ciò nonostante la scoperta di notevolissime emergenze quali il cd. Mundus e la Casa dei Grifi.

In questo periodo Boni entrò a far parte della Commissione per la Passeggiata Archeologica ma, sempre per via della sua formazione non accademica, nel 1910 fu costretto a lasciare il posto a favore del rivale di sempre Rodolfo Lanciani.

Da questo momento in poi iniziò una fase di ripiegamento, acuita dallo stato di salute aggravatosi nel 1916. Boni si arroccò sul Palatino, risiedendo nelle Uccelliere Farnese e si dedicò soprattutto ai temi della flora. Nell’ambito degli Orti Farnesiani del Palatino Boni riportò alla luce il Ninfeo degli Specchi, sepolto dalla metà del XVIII secolo sotto detriti di scavo e vegetazione spontanea. Boni tentò sempre di preservare e valorizzare il più possibile i giardini del Palatino pur subordinando tale rispetto alle necessità dello scavo e della ricerca.

Essendo appassionato di botanica, egli reintrodusse essenze esotiche in ricordo dell'Orto Botanico seicentesco. Sulla base dello studio della "pittura di paesaggio" negli affreschi di Pompei e del Palatino, e sulla scorta degli autori latini, egli ricostruì il repertorio delle essenze della "flora classica", cioè le specie di piante e fiori conosciute nell'antichità. Non si trattò, pertanto, di un restauro consapevole e intenzionale del giardino rinascimentale.

Sul Palatino Giacomo Boni visse come un monaco; sovrintendeva e curava i lavori di un luogo che con lui si ammantò di sacralità laica. Del Foro e della sua casa l'archeologo fece un'accademia all'aperto, un salotto politico e cosmopolita; la scena di una cultura vissuta quotidianamente come missione civile.

Si dedicò anche a molte iniziative educative e sociali: creazione di scuole rurali, campagne proibizioniste, dalla sperimentazione di risorse energetiche a e alternative all'equipaggiamento dei soldati al fronte.

L'arrivo di Arduino Colasanti alla Direzione Generale AA.BB.AA. (1919) coincise con un periodo di pesanti inchieste ministeriali e torbide trame tessute a suo danno, da cui si risollevò anche grazie all'adesione al Fascismo, che lo gratificò con la nomina a Senatore nell'aprile del 1923 per aver elaborato il simbolo del fascio littorio.

Alla sua morte, avvenuta l’11 luglio 1925, per unanime consenso, venne sepolto sul Palatino, dove tutt’ora riposa. Lui stesso aveva desiderato essere lì sepolto, anche perché cultore della botanica: la sua tomba è tutt’ora circondata dai fiori ed è anche e soprattutto in posizione panoramica su Roma e sul Foro, cui Boni ha dedicato tutto il suo impegno.