Gli Etruschi

La civiltà villanoviana 
Nell'Italia dell'età del ferro c'era anche questa popolazione non indoeuropea. La civiltà villanoviana è del IX-VIII secolo ed è nota per le necropoli con tombe a pozzetto. Anch'essa, come poi gli Etruschi, vivevano tra la Toscana centro meridionale, l'Umbria e Lazio in villaggi di capanne che erano importantissimi insediamenti protourbani. Sorsero per il controllo strategico di vie di scambio, per lo sfruttamento delle risorse economiche (terre da coltivare, bacini minerari). 

Le origini degli Etruschi

Nell'VIII secolo a.C. gli abitanti di alcuni piccoli villaggi villanoviani si concentrano unendosi in insediamenti più grandi, come Veio, Tarquinia, Cerveteri in processo che in storia si definisce sinecismo: è la nascita della civiltà urbana e il primo affermarsi della civiltà etrusca che s'innesta quindi nell'ultima fase del Villanoviano.

Questa ipotesi sull'origine degli Etruschi fa scartare la vecchia teoria di Erodoto (storico greco del V secolo a.C.) di un'ondata migratoria dei Lidi, giunti in Italia dall'Asia Minore per sfuggire a una terribile carestia, mentre conferma l'interpretazione di Dionigi di Alicarnasso (storico greco vissuto a Roma nel I secolo a.C.), che li considerava autoctoni, cioè un popolo antichissimo di razza indigena.

L'età orientalizzante: il secolo d'oro dell'aristocrazia
Il fenomeno "orientalizzante", che investe le regioni mediterranee in maniera non uniforme né topograficamente né cronologicamente, nel corso del VII secolo a.C. coinvolge anche l'Etruria che entra in contatto diretto con i Fenici e con i Greci i quali, attraverso la loro estesa rete di commerci, avevano propagato in tutto il Mediterraneo l'influsso dell'arte e della cultura orientale.

In questo periodo le attività produttive e commerciali dell'Etruria vivono uno slancio straordinario. Un ristretto gruppo sociale concentra ingenti ricchezze legate allo sfruttamento dei possedimenti terrieri, alle attività di estrazione dei minerali (rame e ferro) e al controllo dei commerci terrestri e marittimi, e accentra nelle proprie mani il potere economico e politico: sono i "principi" che sviluppano uno stile di vita aristocratico, secondo il modello greco espresso nei poemi omerici, e celebrano il proprio rango sociale avviando la grande architettura funeraria.

L'età arcaica e l'ascesa del ceto medio

Con l'età arcaica (580-480 a.C.) l'Etruria diventa una forte produttrice di vino e olio, che esporta in grande quantità lungo le coste del Mediterraneo. Strettamente legata a questa esplosione commerciale è la nascita di una nuova classe sociale, il ceto medio, economicamente agiato, che ora governa insieme alle famiglie aristocratiche, il cui potere economico e politico inizia ad affievolirsi.

In quest'epoca si consolidano definitivamente i centri urbani e si monumentalizzano i santuari, con i templi decorati da imponenti opere in terracotta.

Lo sviluppo commerciale spinge gli Etruschi a colonizzare la pianura Padana e parte della Campania, fino a estendere il proprio controllo politicosu Roma.

Nonostante l'emergere del ceto medio, testimoniato nelle necropoli dalle tombe "a dado", non si affievolisce la committenza dei principi: in questo pe riodo nasce una scuola pittorica, che decora le tombe a camera con scene che rispecchiano gli ideali della vita aristocratica, e si sviluppa la produzione dei sarcofagi.

Il lento declino e la romanizzazione

All'inizio del V secolo a.C. il commercio etrusco registra un brusco calo, dovuto alla concorrenza delle colonie greche e di Cartagine.

Nel 474 a.C. la sconfitta inflitta dai Siracusani agli Etruschi nelle ac que di Cuma segna l'inizio del declino: la progressiva chiusura degli scali commerciali, tra Ve IV secolo a.C., vede il ritorno a un'economia agricola, gestita da una nuova aristocrazia terriera che però, sempre più isolata e indebolita, non è ora in grado di proteggere il territorio.

Nel 390 a.C. la discesa dei Galli, diretti a saccheggiare Roma, segna la perdita dell'area padana, mentre nel 295 a.C. i Romani sconfiggono tutti i popoli italici coalizzati (Etruschi compresi) nella battaglia del Sentino.

Le città etrusche, espugnate l'una dopo l'altra, sono sottomesse al sistema federativo romano fino a quando con la guerra sociale (91-88 a.C.) tra Roma e i popoli italici federati (socii) gli Etruschi ottengono la cittadinanza romana.

 

Ricchezza e ricerca di prestigio sociale muovono l'arte etrusca

"I metalli sono una vera ricchezza e la base del prezzo di tutte le cose"

Con questo passo Plinio apre il capitolo della Naturalis historia dedicato alla mineralogia, evidenziando quanto l'estrazione dei metalli fosse considerata importante, in epoca romana, per il benessere economico di una regione. Tale affermazione è ancor più appropriata se la riferiamo all'Etruria, contraddistinta da un sottosuolo ricco di risorse metallifere. È proprio grazie al commercio dei minerali, infatti, che ristretti gruppi sociali riescono ad accumulare, nel VII secolo a.C., ricchezze così ingenti da divenire in breve tempo un punto di riferimento per mercanti e artigiani creatori di manufatti artistici.

Per celebrare il proprio rango sociale, infatti, l'aristocrazia acquista oggetti preziosi provenienti dalla Grecia, dalla Fenicia, dalla Siria, dall'Egitto; si tratta di esotici accessori d'abbigliamento, quali le grandi fibule in oro, decorate con motivi di area siro-fenicia o i pendagli di collana importati direttamente dall'Egitto, oppure vasi greci da esibire durante banchetti, simposi e cerimonie funebri.

A ciò consegue un fenomeno molto importante: per soddisfare la ricca committenza aristocratica giungono e si stanziano in Etruria artigiani orientali e greci, quali quelli ricordati da Plinio al seguito del mercante corinzio Demarato stabilitosi a Tarquinia. Queste maestranze favoriscono l'avanzamento tecnico delle produzioni e la specializzazione degli artigiani etruschi prima nell'arte vascolare del bucchero e in seguito, dall'età arcaica in poi, nella coroplastica e nella bronzistica.

Il tempio ed il santuario etrusco


Il tempio e il santuario

La planimetria e la struttura architettonica

I primi santuari risalgono alla metà del VII secolo a.C. in perfetta sincronia con le prime testimonianze di architettura abitativa.
Tuttavia è con il VI secolo a.C., in concomitanza dell'affermazione della città, che l'architettura dei santuari si fa monumentale. Ispirati ai modelli greci, presentano il recinto consacrato (tèmenos), l'altare per i sacrifici (bomòs), la fossa-focolare (eschara) per riti a divinità infere, un osservatorio sacro (auguraculum) e il tempio.

Quest'ultimo si differenzia da quello greco perché eretto su un alto podio, elemento costante dell'architettura sacra etrusca e in seguito romana, che rappresentava una porzione di spazio celeste, libero dagli spiriti (ager effatus), delimitato da angoli (anguli), cioè ritagliato e sopraelevato rispetto al suolo.

L'edificio riprendeva la pianta della casa d'abitazione formata da più ambienti affiancati con un portico trasversale di collegamento e si sviluppava secondo un principio di frontalità e assialità.

Era caratterizzato da elementi ricorrenti: una forma quasi quadrata in rapporto di 5 a 6 tra larghezza e lunghezza, la suddivisione in uno spazio chiuso rettangolare (pars postica) e uno aperto antistante (pars antica) di pari estensione, l'articolazione della parte posteriore in tre ambienti affiancati in rapporto di 3:4:3 tra loro, destinati a tre celle o a una cella centrale con due ali laterali (alae) aperte frontalmente, il pronao con doppia fila di colonne e un'unica scalinata frontale di accesso.

L'ordine tuscanico

Elemento qualificante del tempio etrusco è anche l'ordine architettonico che Vitruvio nel suo trattato De architectura definì tuscanico, cioè etrusco, e lo affiancò ai tre ordini canonici greci.

Elementi caratterizzanti dell'ordine sono le colonne a fusto liscio, fornite di base e capitello simile a quello dorico, la trabeazione e il tetto lignei con rivestimenti fittili, il frontone aperto con riquadri in terracotta applicati alla testata delle travi portanti.

Essendo i templi costruiti in materiali deperibili, poche sono le evidenze archeologiche rimaste (a Veio, Marzabotto, Pyrgi, Fiesole, Orvieto) e riguardano in genere i muri di fondazione in pietra e le terrecotte architettoniche che ne ornavano le coperture; ulte riori informazioni sull'alzato e sulle coperture si ricavano da modellini votivi di templi.

Il santuario di Portonaccio a Veio

Il santuario di Veio fu edificato fuori dalle mura cittadine, in località Portonaccio.

Il nucleo più antico risaliva alla seconda metà del VII secolo a.C. ed era legato al culto della dea Menerva (trasposizione della greca Atena). Nel 540-530 a.C., in onore della dea, furono costruiti un tempietto con un'unica cella, un altare, un portico e una gradinata di accesso.

Infine, nel 510 a.C., nella parte occidentale del san tuario fu eretto in onore di Apollo un grande tempio tuscanico a tre celle, affiancato da un bosco sacro e da una grande piscina per i riti di purificazione.

Il pronao era preceduto da due colonne di tufo tra ante sormontate da capitelli di ordine tuscanico; la trabeazione e il tetto erano ornati da antefisse con teste femminili e protomi mostruose di Gorgoni, e da statue acroteriali che illustravano episodi mitici le gati al culto di Apollo e dell'eroe divinizzato Eracle.


La rappresentazione del rango sociale dei defunti
Le tombe a pozzetto di età villanoviana 
I corredi funerari e le necropoli rappresentano le più numerose evidenze archeologiche delle civiltà italiche. I primi e più antichi nuclei di tombe, risalenti al IX secolo a.C. e legati al rito dell'incinerazione, sono quelli a pozzetto, cavità cilindriche scavate nel tufo o nella roccia tenera, contenenti urne o vasi biconici.


Le tombe a tumulo: il primo esempio di architettura funeraria
Nell'VIII secolo a.C. il progressivo abbandono dell'incinerazione e l'adozione del rito dell'inumazione favoriscono la diffusione del la tomba a fossa. Essa consiste in uno scavo rettangolare che contiene il cadavere disteso, provvisto di abbigliamento e oggetti del corredo funerario, oppure un rozzo sarcofago scolpito in un solo blocco di pietra (monolitico); la fossa è ricoperta da lastre di pietra.

Nel VII secolo a.C. la sepoltura a inumazione favorisce una trasformazione delle necropoli con la creazione di tombe a camera, costruite o scavate nella roccia (ipogei), che rappresentano il primo esempio di architettura funeraria. Un esempio di camera costrui ta è la tomba a tholos di Casale Marittimo, oggi ricostruita nel giardino del Museo Archeologico Nazionale di Firenze.

Generalmente esse presentano un corridoio d'ingresso (dromos) che immette nella camera circolare o quadrangolare di varia grandezza (2-4 m), realizzata con grandi blocchi di pietra disposti a filari aggettanti a formare una falsa cupola (tholos) sorretta da un pilastro; nelle tombe più complesse il corridoio, delimitato da muretti a secco, si apre su stanze laterali per sepolture secondarie. La porta era costituita da un lastrone rettangolare. Le camere scavate nella roccia presentano la medesima plani metria di quelle costruite.
Sia le tombe a fossa che quelle a camera sono coperte da un tumulo di terra che aveva una duplice funzione: proteggere e consolidare la struttura architettonica della tomba e manifestare nel modo più efficace possibile la presenza del monumento funerario, celebrando così l'alto rango sociale del proprietario della tomba. Per questo motivo il tumulo, sorretto da un tamburo cilindrico di pietra a volte decorato con modanature, diviene nel corso del VII secolo a.C.monumentale, raggiungendo in alcuni casi fino a 30-40 m di diametro e 12-15 m di altezza a evidenziare il prestigio dei principi etruschi e dei loro discendenti che usavano la stessa tomba per diverse generazioni.

Gli ipogei aristocratici

Nella necropoli della Banditaccia di Cerveteri sono state ritrovate oltre 20.000 tombe a camera realizzate tra il VII e il I secolo a.C.

Grazie alla conformazione geologica del terreno le tombe, articolate in più ambienti, sono state scavate nella roccia tufacea riproducendo gli interni delle abitazioni con tutti gli elementi architettonici (pilastri, lesene, travi) e gli arredi (sedie, letti funebri, panchine).

Un esempio è la Tomba dei Leoni dipinti, costituita da tre camere ipogee cui si accede attraverso un ampio corridoio a cielo aperto con lunga e bassa gradinata. Gli interni con banchine, letti funebri e due grandi ceste scavati nel tufo sono interessanti soprattutto per la resa dei soffitti che imitano le coperture delle case con il columen (la trave longitudinale alla sommità del tetto dalla quale si dipartono le due falde), gli spioventi con travi e travicelli che nella camera centrale formano un'insolita struttura a raggiera.

Gli ipogei scavati nella pietra a imitazione della casa riflettono il legame strutturale e simbolico tra sepolcro e abitazione, tra casa dei morti e dei vivi, secondo la concezione propria degli Etruschi della continuità dopo la morte di un'attività vitale del defunto.

Le tombe "a dado" del ceto medio

Nel corso del VI secolo a.C. l'emergere di un ceto medio impone una riorganizzazione delle necropoli secondo un vero e proprio piano urbanistico, reso necessario dall'introduzione di piccole tombe a pianta quadrangolare, orientate secondo l'assetto stradale: le cosiddette tombe "a dado". Costruite o scavate nella roccia, da cui emergono per tre lati o solo in facciata, presentano zoccoli con ricche modanature, portali, cornici a becco di civetta (con profilo convesso costituito da archi di cerchi di raggio diverso) e toro (con profilo a semicerchio convesso), e a volte piccole scale per accedere alla parte superiore dell'edificio, una terrazza su cui poggiavano i segnacoli funerari dei defunti (cippi) e dove si svolgevano sacrifici in loro onore.

Nella necropoli della Banditaccia di Cerveteri, ad esempio, le tombe "a dado" bordano le vie rettilinee create negli spazi non occupati dai monumentali tumuli. Realizzate in blocchi di tufo, presentano una camera rettangolare per lo più singola con due banchi ne per la deposizione dei defunti.

I grandi sepolcri della nuova aristocrazia

Nel IV secolo a.C. si afferma una nuova aristocrazia terriera che recupera i fasti del passato con la costruzione di tombe monumentali ipogee destinate a più generazioni.

Le camere contenevano grandi urne o sarcofagi di terracotta, come il Sarcofago degli sposi, sul cui coperchio è raffigurata una coppia distesa su una kline durante il banchetto funebre, oppure erano decorate con rilievi scolpiti e dipinti, come la Tomba dei Rilievi a Cerveteri.

Il sepolcro, scavato nel tufo e privo di tumulo esterno, presenta una grande camera rettangolare con soffitto che imita la copertura della casa. Lungo le pareti corre una banchina con i letti di deposizione, mentre nelle pareti sono ricavate 13 nicchie (loculi) destinate ai membri più importanti della famiglia. La camera è abbellita da rilievi in stucco dipinto che riproducono, con minuziosa descrizione dei particolari, arredi e oggetti di uso domestico per evidenziare la ricchezza e l'importanza della famiglia.

La pittura funeraria

Le tombe dipinte di Tarquinia
La scuola pittorica più viva e originale

Molte tombe etrusche erano decorate con pitture parietali, ma solo nella necropoli dei Monterozzi a Tarquinia la consuetudine è ampiamente documentata, con circa 200 sepolcri dipinti da diverse officine di pittori con colori vivaci e con una qualità pittorica superiore a quella di altri sepolcreti.

Negli ipogei più antichi (VII secolo a.C.) erano dipinti solo i frontoni delle pareti corte, la fascia dell'architrave e il columen, ma dalla metà del VI secolo a.C.le pitture si estesero alle pareti.

Banchetti rituali e temi naturalistici

I soggetti inizialmente seguivano le tendenze orientalizzanti con cortei di animali reali o fantastici e, più raramente, figure umane. Dalla seconda metà del VI secolo a.C. però si diffuse un patrimonio iconografico costituito da scene di banchetto funebre, cerimonia aristocratica ripresa dal modello greco espresso nei poemi omerici, spesso abbinato a figurazioni del mondo reale con scene di musica, di danza, di caccia e pesca, alle quali si pensava potesse partecipare anche il defunto, trasmettendogli magicamente qualcosa della forza e della vitalità che esse esprimono.

La parete di fondo della Tomba della Caccia e della Pesca, databile al 530-520 a.C., è una testimonianza delle due tendenze. Al centro del timpano, sdraiati su una kline, si trovano i coniugi, un uomo barbato e una donna riccamente vestita con abiti color porpora e blu, fiancheggiati da servitori nudi, occupati a mescere il vino contenuto in un grande cratere, da giovani schiave che preparano corone votive di fiori e da un suonatore di doppio flauto (aulòs). Al di sotto, quattro pescatori con lenze, arpioni e reti pescano su una barca attorniati da guizzanti delfini che saltano fuori dall'acqua, mentre da uno scoglio un cacciatore si appresta a colpire con la fionda uno stormo di uccelli in volo.

Lo stile delle pitture denota uno spiccato interesse per i particolari naturalistici e per una coerente logica narrativa che relaziona i personaggi impegnati in differenti azioni di caccia e pesca all'ambiente naturale. Le figure, anche se definite sommariamente e con estre ma disinvoltura nelle proporzioni, sono rappresentate in posizioni varie, non ripetitive e monotone; la scena, nel complesso, è vivace, piena di movimento e di colore (azzurro, verde, porpora, bianco).

Il ciclo pittorico di Vulci

Mito greco e storia etrusca a confronto

Dalla metà del IV secolo a.C. all'idea della sopravvivenza dell'entità vitale del defunto nella tomba sopravanza una nuova concezione della morte, intesa come viaggio che il defunto affronta verso l'oltretomba, un mondo sotterraneo, tenebroso e fantastico, dove demoni alati e spiriti di antichi eroi lo accompagnano nel passaggio di stato consentendone il ricongiungimento con i suoi antenati. Nella Tomba François di Vulci, i demoni si mescolano agli eroi nella scena in cui Achille sacrifica i prigionieri troiani sulla tomba di Pa troclo. Il corteo è aperto da un prigioniero troiano nudo: ha le mani legate e una corda intorno al collo ed è trascinato al sacrificio al cospetto di Agamennone. La scena è presidiata da due demoni: l'alata Vanth e Caronte, dall'incarnato bluastro, cheosservano Achille mentre sgozza un altro prigioniero. Dietro compare l'ombra di Patroclo, fraterno amico di Achille morto in battaglia, che attende la fine del sacrificio per varcare la soglia dell'oltretomba. Sulla parete opposta, al mito greco si contrappone la storia etrusca con una scena di battaglia tra Etruschi e Romani, un parallelismo tra mito greco e storia locale da interpretarsi in chiave antiromana: gli Etruschi di Vulci, come i Greci con i Troiani (antenati dei Romani), alla fine avrebbero vinto su Roma.

I due fregi, legati non solo da simmetrie concettuali ma anche da rispondenze distributive e compositive, si snodano in una narrazione continua molto varia soprattutto nelle scene dei duelli. All'artista, che supera il disegno colorato dei dipinti precedenti con l'adozione di colori più densi e di effetti chiaroscurali e di scorcio, si può attribuire la prima formulazione del fregio storico celebrativo che prenderà campo nell'arte romana.

Il bucchero

È una classe di materiale ceramico, nero e lucido, diffusa tra VII e V secolo a.C. lungo tutto il bacino del Mediterraneo. I principali centri di produzione si trovano in Etruria, perciò tale ceramica può essere con siderata un'originale espressione artistica etrusca. Il nome però deriva dal vocabolo spagnolo "bucaro" che indicava una ceramica nera e lucida usata in Perù, imitata nel Seicento in Portogallo e diffusa in Italia proprio all'epoca dei primi ritrovamenti della simile ceramica etrusca.

Il procedimento di lavorazione prevedeva una fase in cui si modellava il vaso con l'argilla, aggiungendo eventualmente polvere di carbone, un'altra in cui si cuoceva in forno con poca aria, provocando azioni di ossido-riduzione e di assunzione di carbonio che ne determinavano il color nero in superficie e in frattura; una finale in cui si lucidava il pezzo ancora caldo dopo averlo cosparso di cera, ottenendo così la patina lucida.

Le forme ceramiche prevalenti, come ad esempio il calice, sono quelle pertinenti al consumo del vino durante il simposio, sia quello realmente in uso nella vita quotidiana sia quello legato alla sfera dell'oltretomba, dato che il bucchero è la suppellettile più comune nelle tombe etrusche.

La coroplastica
Il termine, dal greco chora ("terra") e plastike ("modellare"), definisce la lavorazione della terracotta per produrre oggetti a rilievo e a tutto tondo, arte in cui gli scultori etruschi dimostrano grande abilità già dall'età arcaica. La tecnica consisteva nel plasmare a mano un prototipo d'argilla dal quale si ricavavano stampi di terracotta in negativo delle diverse parti dell'opera, entro cui era riversata l'argilla liquida.

I pezzi erano ritirati ancora umidi dagli stampi per consentire le rifiniture a mano; poi, dopo il loro assemblaggio, erano cotti e dipinti. Celebre coroplasta etrusco fu Vulca, autore delle decorazioni acroteriali del santuario del Portonaccio a Veio e delle statue poste all'interno delle celle del Capitolium a Roma, andate perdute ma ricordate dalle fonti.