Guido Reni

Secondo Guido Reni il pittore deve imitare la realtà, ma non quella quotidiana, preferita da Caravaggio, bensì una "ideale", creata selezionando quanto di più bello offriva la natura stessa. Egli ricerca, quindi, la bellezza ideale e non quella che ha solitamente sotto gli occhi. Proprio come faceva Raffaello.

Infatti, in una lettera con la quale accompagnava il San Michele Arcangelo per la chiesa dei Cappuccini di Roma, eseguito su commissione del cardinale Francesco Barberini (1597-1679), scriveva:
«Vorrei aver avuto pennello angelico e forme di paradiso, per formar l'arcangelo e vederlo in cie lo, ma io non ho potuto salir tant'alto, ed in va no l'ho ricercato in terra, sicché ho riguardato in quella forma che nell'idea mi sono stabilita».

Si tratta, in definitiva, dello stesso concetto che aveva espresso anche Raffaello in una lettera all'amico Baldassar Castiglione (lettera apòcrifa, ma che esprime un concetto che l'Urbinate dovette avere ben chiaro):
«per dipingere una bella, mi bisogneria veder più belle [...] ma essendo carestia [...] di belle don ne, io mi servo di certa idea che mi viene nella mente»>.
Giovan Pietro Bellori individua inoltre le doti pittoriche di Guido:
«sapeva regolar bene i panni nobilmente con ampiezza di pieghe e con eleganza non solo di panni lani¹ e drappi, ma di sete sottili e lievi, di colori soavi e cangianti, ed insieme di panni lini bianchi, de' quali adornava a tempo gl'angeli e la Vergine, temperando la soverchia bianchez za con un poco di giallo o di colore di rose e di viole, che s'accordano con gl'altri colori vee menti e di forza, e come in tutte l'altre parti della pittura fu egli facile ne' dintorni e ne' moti; ta le riuscì ancora nelle sue invenzioni, nelle quali però e nelle attitudini de' santi, egli sempre riser vò' una somma gravità, decoro ed affetti divoti".
 

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In quella che il primo biografo di Guido Reni, Cesare Malvasia (1616-1693), chiama <<seconda maniera» di Guido - che caratterizza gli anni dal 1630 alla morte - l'artista bolognese cerca quanta più luce possibile per i suoi dipinti cominciando a so stituire la tela con la seta e, soprattutto, dipinge rapi damente, senza dedicare molto tempo alle finiture cercando la bellezza, ma come a voler fermare sul dipinto l'idea e la sua forza espressiva. Si tratta, spes so, anche di un volontario "non finito", ma «affatica vasi anche [...] nell'ultime sue pitture, mostrando cele sempre più erudite, e con nuovi ricerchi, e mille galanterie; con certi lividetti, e azzurrini mescolati

fra le mezze tinte, e fra le carnagioni». L'intonazio ne cromatica non è mai, per Guido, creare ombre profonde, ma sempre un aggiungere un po' di gri gio ai colori, talché l'ombra è sempre colorata e il chiaroscuro risulta di conseguenza sempre radioso.