La Controriforma e le arti

Il Concilio di Trento (1545-1563) è stato decisivo per la Chiesa cattolica e per i cattolici e gli italiani. Esso ha orientato la Chiesa, il clero e, di riflesso, tutta l’Italia fino al Novecento (fino al Concilio Vaticano II, 1962-1965).

Come è noto, il Concilio si organizzò come risposta e reazione alla Riforma Protestante. Carlo V lo voleva essenzialmente per ricomporre lo scisma protestante, il papato per chiarire importanti tematiche in campo di dogmi e dottrina. I riformati, invece, volevano intaccare lo 'strapotere' dell'autorità papale.

I tentativi di mediazione e di dialogo con i protestanti però naufragarono e, viste le distanze (e le polemiche), l'atteggiamento virò bruscamente verso "o dentro o fuori" e, constatato che i protestanti erano "fuori" e che non volevano più stare con Roma e la criticavano aspramente su alcuni punti, la Chiesa cattolica si ricompattò e decise di riorganizzarsi e di stabilire alcuni punti fermi e norme che avrebbero dovuto migliorarla e stabilizzarla. Per migliorare e mettere un freno ad alcune 'licenze' e costumi che, con il tempo e la consuetudine, si erano accumulate.

Il Concilio non ricompose lo scisma protestante e quindi non ripristinò l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori.

Secondo i protestanti l'uomo si salva grazie al sacrificio di Cristo (sola gratia) e basta perciò la sola fede per salvarsi (sola fide); la salvezza è un dono di Dio.

Per i cattolici, invece, la salvezza è un premio e per meritarsela, oltre alla fede, c'è bisogno delle buone opere e poi dei sacramenti, impartiti, ovviamente, solo dalla Chiesa. Questo era il modo per evitare che i fedeli seguissero norme e precetti eterodossi, che avrebbero potuto portarli alla dannazione o comunque fuori dalla retta via. Bisogna sempre tenere a mente che proprio in quegli anni fu inventata la stampa e che, quindi, le “nuove idee” ebbero maggiore diffusione.

Per gli italiani, comunque, nonostante le evidenti 'criticità' e mancanze del clero, il cattolicesimo, il Papa ed i cardinali rimasero sempre punti di riferimento importanti. Quindi, nonostante tutti conoscessero i vizi ed i problemi della Chiesa, tutti continuavano ad identificarsi con essa.

Come già accennato, il Concilio, pur sostanzialmente rimandando al mittente le critiche protestanti, rispose con norme che, di fatto, confermavano alcune criticità: si fissarono regole rigidissime per il comportamento di vescovi e sacerdoti (che non sempre erano stati irreprensibili; molti di loro nemmeno conoscevano la Bibbia), si istituì l'obbligo per parroci di risiedere nella propria parrocchia e per i vescovi nella propria diocesi (prima, invece, i vescovi vivevano dove volevano; ed essendo la carica spesso solo ricercata per via del prestigio e dei benefici, capitava spesso che molti vescovi (e anche cardinali) fossero quasi 'laici travestiti da clero' e che ben poco ne sapessero di religione e che poco curassero le anime e, soprattutto, non vivessero li. Anche nel caso di diocesi europee, fuori dall'Italia, i vescovi se ne rimanevano in Italia a pensare ai loro affari più importanti!).

I vescovi avevano l'obbligo di visitare le parrocchie della propria diocesi e dovevano, in particolare, controllare rigorosamente che in esse si impartisse il corretto insegnamento ai fedeli. Essi stessi erano oggetto di scrupolosi controlli ed ispezioni da parte di messi papali e dovevano, comunque, riferire periodicamente del proprio operato. In più, dovevano recarsi periodicamente a Roma per riferire personalmente al Papa stesso.

Per la formazione del clero furono fondati i seminari; ogni diocesi ne aveva una.

 

Parlavamo prima dell'invenzione della stampa e, quindi, dei libri. Come già accennato, essi potevano potenzialmente portare sempre più 'nuove idee' e nuovi concetti. Essi avrebbero potuto fare uscire dalla retta via in molti. Si decise, pertanto, di istituire L'indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum). Si esercitava un controllo minuzioso sui libri ed i loro contenuti. Fu abolito solo nel 1963.

Anche l'attività degli artisti fu controllata: nelle committenze religiose, essi erano tenuti al rispetto dell'iconografia canonica voluta dalle autorità ecclesiastiche (cioè dovevano rappresentare canonicamente e senza licenze e libertà soggetti, atteggiamenti, espressioni, posture). In generale, in tutti i soggetti, andavano comunque evitati nudi e espressioni equivoche.

È importante ricordare che, mentre i protestanti avevano bandito le immagini sacre dai luoghi di culto (in quanto le consideravano una distrazione, anzi le consideravano vera e propria idolatria!), i cattolici le avevano invece difese. Esse, però, andavano 'regolamentate', anche e soprattutto perché negli anni del Rinascimento e del Manierismo vi era stata spesso troppa libertà e audacia. Soprattutto i Gesuiti consideravano l'immagine come un importante veicolo di insegnamento religioso e anche come spunto di meditazione. Si incoraggiò la valorizzazione della tradizione cristiana, l'esaltazione dei martiri, il richiamo a una vita caritatevole e una religiosità veramente sentita.

Chi non rispettava questi precetti era passibile di processo da parte del Tribunale dell'Inquisizione, istituzione fondata al fine di difendere l'ortodossia cattolica dalle eresie e dalle deviazioni pericolose.

Essa si pronunciava anche a proposito di opere d'arte, ed uno dei casi più celebri fu quello del Veronese e della sua Ultima Cena (oggi al Louvre). Chi, invece, rispettava totalmente le regole ed incarnava perfettamente lo spirito della Controriforma fu Scipione Pulzone, detto il Gaetano. La sua arte è stata definita 'arte senza tempo', cioè all'apparenza senza contesto storico e formulata su una sapiente combinazione di elementi stilistici arcaicizzanti, atti a suscitare nell'osservatore sentimenti di pietà o momenti, occasioni di meditazione.

Per garantire la fedeltà dogmatica delle arti visive si fa ricorso anche ad uno strumento fino ad allora poco utilizzato: la possibilità del rifiuto, da parte dell'autorità committente, dell'opera prodotta, che deve essere modificata o completamente rifatta.

Per quanto riguarda la pittura, si afferma sempre più un'arte asettica, priva di ogni accenno lascivo (con nudi estremamente castigati), finalizzata alla meditazione religiosa.

Si dovevano realizzare opere mediante le quali il popolo dei credenti potesse essere «istruito, a mezzo di raffigurazioni pittoriche o di altro genere, sui misteri della nostra redenzione affinché si rafforzi l'abitudine di avere sempre presenti i principi della fede».

Bisogna saper anche commuovere, grazie soprattutto ai mezzi 'emozionali': bisogna saper suscitare emozioni e sentimenti.
Il Concilio di Trento raccomandava che la figura del Cristo venisse rappresentata «afflitta, sanguinante, vilipésa, con la pelle lacerata, ferita, deformata, pallida e sgradevole a vedersi». In tal modo sarebbe stato più facile suscitare nelle masse dei fedeli sentimenti di pietà e di devozione, facendo psicologicamente leva sulla compassione e sulla misericordia umane di fronte al dolore e alle sofferenze.

Così diceva l'arcivescovo di Bologna cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597): «le immagini penetreranno dentro di noi con molta più violenza che le parole» e proprio per questo occorre che ogni pittore abbia una cultura e una sensibilità tali da saper realizzare opere aventi un effetto guidato [...] a persuadere il popolo e a tirarlo ad abbracciare alcune cose pertinenti alla religione».

Il controllo sulla produzione delle immagini a Roma avviene anche mediante l'opera di Ordini religiosi, primo fra tutti quello dei Gesuiti. Il Concilio di Trento aveva fortemente potenziato il ruolo degli Ordini Monastici, al fine di promuovere e potenziare la loro azione di diffusione della dottrina controriformista.

Ovviamente fu Roma, in quanto centro della Cristianità, la città dove maggiormente si esercitò l'azione della censura ecclesiastica sulle immagini. Il caso più clamoroso fu il Giudizio Universale di Michelangelo: data la presenza massiva di nudi si parlò addirittura la distruzione dell’intero capolavoro! Fortunatamente, però, nel 1564, anno della morte del divino artista, si decise ‘solo’ di coprire le nudità con panni e quant’altro. Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, fu di fatto costretto ad aggiungere alle figure nude i più rassicuranti panni, voluti dal pontefice Pio IV (1559-1565), che procurano all'artista il soprannome di 'braghettone'. L’alternativa era, appunto, la distruzione del capolavoro. Questo esempio è veramente indicativo per comprendere la situazione del tempo! Nemmeno il divino Michelangelo poteva scampare!

Comunque, questi precetti valevano solo per le opere pubbliche (esposte nelle chiese e nei luoghi aperti) e non, invece, nei luoghi privati. Infatti, avveniva spesso che anche dei cardinali, che erano inflessibili contro il non-decoro nelle chiese, possedessero poi in casa anche molte opere licenziose e anche di soggetto pagano.

E, comunque, bisogna anche aggiungere che, riguardo le norme da seguire nelle arti, il Concilio di Trento era rimasto abbastanza vago. Non si entrò molto dei dettagli e nei particolari, si decreto semplicemente: "...in niuna chiesa [...] sia lecito porre veruna immagine se non approvata dal vescovo". Questo determina che dove l'azione del vescovo è più diretta, come nella Bologna di Gabriele Paleotti o nella Milano di Carlo Borromeo, altrettanto rigorosa diventa la produzione di opere d'arte secondo schemi di sincero accademismo devozionale.

A Milano, nel 1577, il rigido e ascètico arcivescovo Carlo Borromeo fece compilare le Istituzioni (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae - Istruzioni per la costruzione e la suppellettile ecclesiastica), un trattato rivolto soprattutto alle norme architettoniche e agli apparati decorativi presenti negli edifici sacri. Tra le numerose prescrizioni ve n'è una che obbliga a costruire le chiese secondo la forma basilicale (quella seguita dai cristiani delle origini) e a limitare, invece, l'uso delle piante centrali ai soli battisteri. Esso, comunque, non ebbe valore normativo assoluto; furono, più probabilmente, le visite pastorali a diffondere le idee dell'arcivescovo nel territorio della diocesi.

In architettura si elabora il modello di Chiesa controriformata con l'altare lievemente sopraelevato, al termine di una lunga navata, meglio se priva di navatelle laterali, così da creare una sorta di proscenio per la funzione religiosa.

La Chiesa del Gesù a Roma è il modello della nuova chiesa controriformata: lunga aula longitudinale destinata ai fedeli e altare in forte evidenza.

La soluzione architettonica della Chiesa del Gesù, pensata con l'aiuto dell'architetto gesuita Giovanni Tristano, si impone come modello vincente in epoca di Controriforma, poiché ben si adatta alle rinnovate esigenze liturgiche che facevano dell'altare il fulcro della funzione religiosa e che miravano a sottolineare la distanza fra il sacerdote e i fedeli, secondo una tendenza che conformerà in quegli anni quasi tutti i luoghi di culto.

L'edificio si presenta con pianta longitudinale a un'unica navata, coperta da una volta a botte, lungo la quale si sviluppano una serie di cappelle laterali, dalla forma circolare e scarsamente illuminate per favorire la meditazione dei fedeli. La zona absidale è costituita da un ampio presbiterio e da due cappelloni laterali che vanno a formare quasi una sorta di transetto; il tutto è sovrastato da una cupola sul cui tamburo si aprono ampie finestre, che proiettano luce sull'altare.

L'effetto d'insieme conferisce forte risalto all'abside e fa dell'enorme aula longitudinale, riservata ai fedeli, il luogo deputato per il raccoglimento e la preghiera.

 

Molti artisti subirono una crisi artistica; molti dovettero, magari un po'a malincuore, cambiare stile e diventare 'canonici' e sacrificare il loro stile magari più esuberante. Bartolomeo Ammannati appartiene decisamente alla prima categoria. Sinceramente pentito della sua produzione ante-Concilio, chiese al granduca di Toscana Ferdinando I di poter coprire le nudità delle statue che egli aveva in precedenza scolpito ed inviò una sofferta lettera ai suoi colleghi dell'Accademia delle Arti e del Disegno (1582):

«che sieno avvertiti e si guardino [i colleghi] per l'amor di Dio e per quanto hanno cara la loro salute, di non incorrere e cader nell'errore e difetto, nel quale io nel mio operare son incorso e caduto, facendo molte mie figure del tutto ignude e scoperte, per aver seguitato in ciò più l'uso, anzi l'abuso che la ragione di coloro, i quali innanzi a me in tal modo hanno fatto le loro, e non hanno considerato, che molto maggiore onore è dimostrarsi onesto e costumato uomo, che vano e lascivo, ancorché bene et eccellentemente operando [...]. Perocché prima che offender la vita politica, e maggiormente Dio benedetto, con dar cattivo esempio ad alcuna persona, si dovrebbe desiderar la morte e del corpo e della fama insieme. Il far dunque statue ignude, satiri, fauni, e cose simili scoprendo quelle parti che si deono ricoprire e che veder non si possono se non con vergogna, e che ragione et arte ricoprir c'insegna, è grandissimo e gravissimo errore».

Versione migliorata

Il Concilio di Trento (1545-1563) è stato decisivo per la Chiesa cattolica, per i cattolici e gli italiani. Esso ha orientato la Chiesa, il clero e, di riflesso, tutta l’Italia fino al Novecento (fino al Concilio Vaticano II, 1962-1965).

Come è noto, il Concilio si organizzò come risposta e reazione alla Riforma Protestante. Carlo V lo voleva essenzialmente per ricomporre lo scisma protestante, il papato per chiarire importanti tematiche in campo di dogmi e dottrina. I riformati, invece, volevano intaccare lo 'strapotere' dell'autorità papale.

I tentativi di mediazione e di dialogo con i protestanti però naufragarono e, viste le distanze (e le polemiche), l'atteggiamento virò bruscamente verso "o dentro o fuori" e, constatato che i protestanti erano "fuori" e che non volevano più stare con Roma e la criticavano aspramente su alcuni punti, la Chiesa cattolica si ricompattò e decise di riorganizzarsi e di stabilire alcuni punti fermi e norme che avrebbero dovuto migliorarla e stabilizzarla. Per migliorare e mettere un freno ad alcune 'licenze' e costumi che, con il tempo e la consuetudine, si erano accumulate.

Il Concilio non ricompose lo scisma protestante e quindi non ripristinò l'unità della Chiesa, ma fornì una risposta dottrinale ufficiale in ambito cattolico alle questioni sollevate da Lutero e dai riformatori.

 

Secondo i protestanti l'uomo si salva grazie al sacrificio di Cristo (sola gratia) e basta perciò la sola fede per salvarsi (sola fide); la salvezza è un dono di Dio.

Per i cattolici, invece, la salvezza è un premio e per meritarsela, oltre alla fede, c'è bisogno delle buone opere e poi dei sacramenti. Questi ultimi, ovviamente, impartiti solo ed esclusivamente dalla Chiesa. Questo era il modo per evitare che i fedeli seguissero norme e precetti eterodossi, magari non basati su ‘analisi approfondite di esperti’ che avrebbero potuto portarli alla dannazione o comunque fuori dalla retta via. Bisogna sempre tenere a mente che proprio in quegli anni fu inventata la stampa e che, quindi, le “nuove idee” ebbero maggiore diffusione. (Volendo estremizzare, potremmo dire che la situazione era abbastanza analoga a quella che viviamo ora con internet).

 

Per gli italiani, comunque, nonostante le evidenti 'criticità' e mancanze del clero, il cattolicesimo, il Papa ed i cardinali rimasero sempre punti di riferimento importanti. Quindi, nonostante tutti conoscessero i vizi ed i problemi della Chiesa, tutti continuavano ad identificarsi con essa. Ed avere in essa un imprescindibile figura di riferimento.

 

 

Come già accennato, il Concilio, pur sostanzialmente rimandando al mittente le critiche protestanti, rispose con norme che, di fatto, confermavano e riconoscevano (seppur parzialmente) alcune di esse: infatti, si fissarono regole rigidissime per il comportamento di vescovi e sacerdoti (che non sempre erano stati irreprensibili; molti di loro nemmeno conoscevano la Bibbia), si istituì l'obbligo per parroci di risiedere nella propria parrocchia e per i vescovi nella propria diocesi (prima, invece, i vescovi vivevano dove volevano; ed essendo la carica spesso solo ricercata per via del prestigio e dei benefici che garantiva, capitava spesso che molti vescovi (e anche cardinali) fossero quasi 'laici travestiti da clero' e che ben poco ne sapessero di religione e che poco curassero le anime e, soprattutto, non vivessero nel territorio della diocesi assegnata. Anche nel caso di diocesi europee, fuori dall'Italia, i vescovi se ne rimanevano in Italia a curare soprattutto i loro affari più importanti!).

 

I vescovi avevano l'obbligo di visitare le parrocchie della propria diocesi e dovevano, in particolare, controllare rigorosamente che in esse si impartisse il corretto insegnamento ai fedeli. Essi stessi erano oggetto di scrupolosi controlli ed ispezioni da parte di messi papali e dovevano, comunque, riferire periodicamente del Proprio operato. In più, dovevano recarsi periodicamente a Roma per riferire personalmente al Papa stesso.

 

Per la formazione del clero furono fondati i seminari; ogni diocesi ne aveva una.

 

Parlavamo prima dell'invenzione della stampa e, quindi, dei libri. Come già accennato, essi potevano potenzialmente portare sempre più 'nuove idee' e nuovi concetti. Essi avrebbero potuto fare uscire dalla retta via in molti. Si decise, pertanto, di istituire L'indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum). Si esercitava un controllo minuzioso sui libri ed i loro contenuti. A vigilare su essa c’era Il Sant’Uffizio, la Santa Inquisizione. Fu abolito solo nel 1963. Chi ha studiato un po’ la storia sa bene quanto questa istituzione abbia ‘soffocato’ e censurato ed inibito la creatività e la libertà di espressione di innumerevoli menti illuminate e creative di tante epoche e soprattutto quelle dei Cinquecento e Seicento. Alcuni, addirittura, rasentarono la follia: vedi il caso di Torquato Tasso il quale, peraltro, sostanzialmente appoggiava queste idee della Chiesa ed’impazzì’ proprio perché ci teneva a rimanere ortodosso e temeva dunque di sfociare nell’eresia o anche solo minimamente allontanarsi dall’ortodossia assoluta.

 

Anche l'attività degli artisti fu controllata: nelle committenze religiose, essi erano tenuti al rispetto dell'iconografia canonica voluta dalle autorità ecclesiastiche. Dovevano cioè rappresentare canonicamente e senza licenze e libertà soggetti, atteggiamenti, espressioni, posture. In generale, in tutti i soggetti, andavano comunque evitati nudi e espressioni equivoche.

È importante ricordare che, mentre i protestanti avevano bandito le immagini sacre dai luoghi di culto (in quanto le consideravano una distrazione, anzi le consideravano vera e propria idolatria!), i cattolici le avevano, invece, difese. Perché erano considerate molto utili per la devozione, per aumentarla e per rendere i fedeli più partecipi. Esse, però, andavano 'regolamentate', anche e soprattutto perché negli anni del Rinascimento e del Manierismo (cioè gli anni immediatamente precedenti) vi era stata spesso troppa libertà e audacia. Si incoraggiò, dunque, tramite le nuove ‘linee (direttive) ministeriali’ la valorizzazione della tradizione cristiana, l'esaltazione dei martiri, il richiamo a una vita caritatevole e una religiosità veramente sentita.

Chi non rispettava questi precetti era passibile di processo da parte del Tribunale dell'Inquisizione, istituzione fondata al fine di difendere l'ortodossia cattolica dalle eresie e dalle deviazioni pericolose. Sempre facente parte del sant’Uffizio.

Essa si pronunciava anche a proposito di opere d'arte, ed uno dei casi più celebri fu quello del Veronese e della sua Ultima Cena (oggi al Louvre). Chi, invece, rispettava totalmente le regole ed incarnava perfettamente lo spirito della Controriforma fu Scipione Pulzone, detto il Gaetano. La sua arte è stata definita 'arte senza tempo', cioè all'apparenza senza contesto storico e formulata su una sapiente combinazione di elementi stilistici arcaicizzanti, atti a suscitare nell'osservatore sentimenti di pietà o momenti, occasioni di meditazione.

Per garantire la fedeltà dogmatica delle arti visive si fa ricorso anche ad uno strumento fino ad allora poco utilizzato: la possibilità del rifiuto, da parte dell'autorità committente, dell'opera prodotta, che deve essere modificata o completamente rifatta. Esempio classico che si fa in questi casi è, generalmente, quello di Caravaggio (vedi ad esempio la Madonna dei Palafrenieri o La conversione di san Paolo e La crocefissione di san Pietro.

Per quanto riguarda la pittura, si afferma sempre più un'arte asettica, priva di ogni accenno lascivo (con nudi, quando raramente presenti, estremamente castigati), finalizzata alla meditazione religiosa.

Il controllo sulla produzione delle immagini a Roma avviene anche mediante l'opera di Ordini religiosi, primo fra tutti quello dei Gesuiti.

Ovviamente fu Roma, in quanto centro della Cristianità, la città dove maggiormente si esercitò l'azione della censura ecclesiastica sulle immagini. Il caso più clamoroso fu il Giudizio Universale di Michelangelo: data la presenza massiva di nudi si parlò addirittura la distruzione dell’intero capolavoro! Fortunatamente, però, nel 1564, anno della morte del divino artista, si decise ‘solo’ di coprire le nudità con panni e quant’altro (le famose ‘braghe’). Daniele da Volterra, allievo di Michelangelo, fu di fatto costretto ad aggiungere alle figure nude i più rassicuranti panni, voluti dal pontefice Pio IV (1559-1565), che procurano all'artista il soprannome di 'braghettone'. L’alternativa era, appunto, la distruzione del capolavoro. Questo esempio è veramente indicativo per comprendere la situazione del tempo! Nemmeno il divino Michelangelo poteva scampare!

 

Comunque, questi precetti valevano solo per le opere pubbliche (esposte nelle chiese e nei luoghi aperti) e non, invece, nei luoghi privati. Infatti, avveniva spesso che anche dei cardinali, che erano inflessibili contro il non-decoro nelle chiese, possedessero poi in casa anche molte opere licenziose e anche di soggetto pagano. Va detto comunque che, esattamente come avveniva prima, nel Rinascimento e negli anni del Manierismo, i soggetti pagani sottintendevano quasi sempre messaggi allegorici e morali; non erano mai fini a sé stessi. Quasi sempre dovevano insegnare le virtù e ricordare di scampare al male e alle cattive abitudini.

 

E, comunque, bisogna anche aggiungere che, riguardo le norme da seguire nelle arti, il Concilio di Trento era rimasto abbastanza vago. Non si entrò molto dei dettagli e nei particolari, si decreto semplicemente: "...in niuna chiesa [...] sia lecito porre veruna immagine se non approvata dal vescovo". Questo determina che dove l'azione del vescovo è più diretta, come nella Bologna di Gabriele Paleotti o nella Milano di Carlo Borromeo, altrettanto rigorosa diventa la produzione di opere d'arte secondo schemi di sincero accademismo devozionale.

A Milano, nel 1577, il rigido e ascètico arcivescovo Carlo Borromeo fece compilare le Istituzioni (Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae - Istruzioni per la costruzione e la suppellettile ecclesiastica), un trattato rivolto soprattutto alle norme architettoniche e agli apparati decorativi presenti negli edifici sacri. Tra le numerose prescrizioni ve n'è una che obbliga a costruire le chiese secondo la forma basilicale (quella seguita dai cristiani delle origini) e a limitare, invece, l'uso delle piante centrali ai soli battisteri. Esso, comunque, non ebbe valore normativo assoluto; furono, più probabilmente, le visite pastorali a diffondere le idee dell'arcivescovo nel territorio della diocesi.

 

In architettura si elabora il modello di Chiesa controriformata con l'altare lievemente sopraelevato, al termine di una lunga navata, meglio se priva di navatelle laterali, così da creare una sorta di proscenio per la funzione religiosa.

La Chiesa del Gesù a Roma è il modello della nuova chiesa controriformata: lunga aula longitudinale destinata ai fedeli e altare in forte evidenza.

La soluzione architettonica della Chiesa del Gesù, pensata con l'aiuto dell'architetto gesuita Giovanni Tristano, si impone come modello vincente in epoca di Controriforma, poiché ben si adatta alle rinnovate esigenze liturgiche che facevano dell'altare il fulcro della funzione religiosa e che miravano a sottolineare la distanza fra il sacerdote e i fedeli, secondo una tendenza che conformerà in quegli anni quasi tutti i luoghi di culto.

L'edificio si presenta con pianta longitudinale a un'unica navata, coperta da una volta a botte, lungo la quale si sviluppano una serie di cappelle laterali, dalla forma circolare e scarsamente illuminate per favorire la meditazione dei fedeli. La zona absidale è costituita da un ampio presbiterio e da due cappelloni laterali che vanno a formare quasi una sorta di transetto; il tutto è sovrastato da una cupola sul cui tamburo si aprono ampie finestre, che proiettano luce sull'altare.

L'effetto d'insieme conferisce forte risalto all'abside e fa dell'enorme aula longitudinale, riservata ai fedeli, il luogo deputato per il raccoglimento e la preghiera.

 

 

Molti artisti subirono una crisi artistica; molti dovettero, magari un po'a malincuore, cambiare stile e diventare 'canonici' e sacrificare il loro stile magari più esuberante. Bartolomeo Ammannati appartiene decisamente alla prima categoria. Sinceramente pentito della sua produzione ante-Concilio, chiese al granduca di Toscana Ferdinando I di poter coprire le nudità delle statue che egli aveva in precedenza scolpito ed inviò una sofferta lettera ai suoi colleghi dell'Accademia delle Arti e del Disegno (1582):

«che sieno avvertiti e si guardino [i colleghi] per l'amor di Dio e per quanto hanno cara la loro salute, di non incorrere e cader nell'errore e difetto, nel quale io nel mio operare son incorso e caduto, facendo molte mie figure del tutto ignude e scoperte, per aver seguitato in ciò più l'uso, anzi l'abuso che la ragione di coloro, i quali innanzi a me in tal modo hanno fatto le loro, e non hanno considerato, che molto maggiore onore è dimostrarsi onesto e costumato uomo, che vano e lascivo, ancorché bene et eccellentemente operando [...]. Perocché prima che offender la vita politica, e maggiormente Dio benedetto, con dar cattivo esempio ad alcuna persona, si dovrebbe desiderar la morte e del corpo e della fama insieme. Il far dunque statue ignude, satiri, fauni, e cose simili scoprendo quelle parti che si deono ricoprire e che veder non si possono se non con vergogna, e che ragione et arte ricoprir c'insegna, è grandissimo e gravissimo errore».