La tutela dei monumenti antichi di Roma: la Bolla

La legislazione romana ha una lunga tradizione riguardo la protezione del monumenti antichi.
Essa iniziò già nella Roma imperiale, come dimostrano le norme raccolte nel Codice Teodosiano (438) e in quello di Giustiniano (534). 

È però con l'Umanesimo e il Rinascimento che il rinnovato interesse per l'antichità si coniuga con un desiderio di conservazione delle sue testimonianze. Questo nuovo sentire, annunciato dalla Lettera a Cola di Rienzo e al popolo romano (post 20 maggio 1347) di Francesco Petrarca, tangibile negli scritti di Poggio Bracciolini e Flavio Biondo, ha il suo momento più alto nella Lettera a papa Leone X di Raffaello e Baldassar Castiglione, 1519.

La bolla Cum almam nostram Urbem del pontefice Pio Il Piccolomini è un documento cruciale che ben rivela l'atteggiamento degli umanisti: le vestigia dell'antica Roma devono essere tramandate al posteri perché costituiscano testimonianza del valore degli Antichi e siano di continuo incitamento all'emulazione.

 

Ecco il testo:

Roma
Cum almam nostram Urbem, 26 aprile 1462
"Pio Vescovo, servo dei servi di Dio [...]. Poiché desideriamo che la nostra divina Roma sia conservata nella sua dignità e splendore dobbiamo soprattutto prestarle una vigile cura, affinché non solo siano mantenute e preservate nelle loro magnifiche costruzioni le basiliche e le chiese di questa stessa città ed i siti pii e religiosi, nei quali siano ospitate molte reliquie di Santi, ma anche perché gli edifici antichi e vetusti e le loro stesse vestigia siano tramandate ai posteri, poiché gli stessi edifici procurano ornamento e decoro massimo a detta Città, e rimangano le testimonianze delle antiche virtù quali incitamenti alle loro emulazioni; e dal momento che deve essere ancora di più considerato che è più lecito osservare più rettamente negli stessi edifici, e nei loro resti, la fragilità delle cose umane, e perché in alcun modo sia da aver fiducia in quelle, poiché gli stessi edifici, che i nostri avi con la loro enorme potenza, e con spese ingenti, ritenevano poter competere con l'immortalità, possono anche essere visti sminuiti per la loro vecchiaia e crollati per altre cattive sorti.

Per queste ragioni, dunque, e per altre razionali che guidano il nostro animo, determinati dalle suppliche dei diletti figli della Camera dei Conservatori e dei Caporioni e dei cittadini di detta Città, nelle felici memorie di quegli stessi pontefici romani, nostri predecessori, che espressamente, in quanto interessati alle vestigia, proibirono di rovinare o distruggere gli stessi edifici, ed essendo in vigore nella stessa Città un antico statuto, per cui ciò è proibito con sicure pene pecuniarie, avendo ciò noi stabilito e gradito e confermato, grazie all'autorità apostolica e per una determinata cognizione degli argomenti in oggetto, e nello stesso statuto, in cui incorrano i contravventori e quello medesimo, proibiamo più rigorosamente, con l'autorità e la conoscenza già dette, a tutti, sia in società che singoli, tanto ecclesiastici che laici, in qualsiasi dignità, ordine, stato o condizione eccellano, anche qualora risplendano sia della dignità apostolica che di qualsiasi ecclesiastica o mondana, affinché nessuno di loro, direttamente  o indirettamente, pubblicamente o di nascosto, in qualsiasi modo si arroghi il diritto di poter demolire, distruggere o sminuire o rovinare, o convertire in calce, qualsiasi edificio pubblico antico, o i resti sopra terra di un edificio antico che si trovi o si trovino in detta Città o nel suo distretto, anche qualora dovessero ricadere nelle loro proprietà fondiarie rurali o urbane.

Cosicché se ci sia stato qualcuno che abbia contravvenuto a tali proibizioni concediamo piena e libera facoltà, per l'autorità e la conoscenza già dette, ai diletti figli Conservatori della Camera di detta Città, attualmente in carica o a venire, che dispongano diligentemente ispezioni al riguardo di quanto disposto, attraverso i loro ufficiali, e di far carcerare coloro che, committenti o operai, siano trovati nell'atto di demolire o in qualsiasi modo di devastare, e di requisire, arrestare e confiscare i loro animali, gli strumenti ed altri beni e coloro i quali, e non altri, a loro nome compiano ciò.

Nondimeno vogliamo che nessuno, tranne il pontefice dei Romani, possa valersi di concedere licenza su quanto stabilito a chicchessia, in qualsiasi modo la licenza sia stata concessa, se non attraverso Bolle o Brevi apostolici, essa non abbia alcun potere o causa determinante [...].

Dato a Roma il quarto giorno prima delle Calende di maggio, nel quarto anno del pontificato."