Parco della Caffarella

Il Parco della Caffarella è un paradiso verde incontaminato all’interno della città. Un “reperto archeologico naturalistico” che, dalla periferia di Roma (via di Cecilia Metella-via dell’Almone), arriva fino alle Mura Aureliane e che contiene al suo interno preziosi tesori archeologici.

Esso è parte del Parco dell’Appia Antica e, sommandosi ad esso, contribuisce a generare un parco di grandissima estensione. Un parco che, oltretutto, contiene reperti archeologici importantissimi ed ingloba luoghi leggendari e mitici legati alla Roma antica. 

Qui, molto più che altrove, storia, archeologia e natura si fondono magicamente, dando vita ad un paesaggio iconico, tra i più suggestivi ed unici al mondo. Monumenti, campagna, pascoli si amalgamano in maniera perfetta, lontani dal rumore della città e delle sue strade. Eppure, guardando una mappa, risulta di stare in piena città!

Come detto, è parte del più vasto parco dell’Appia Antica e, dopo una campagna di e espropri, è stato riqualificato e reso patrimonio pubblico nel 2000. Grazie a ciò è diventata una delle aree verdi più grandi di Roma (132 ettari di verde pubblico) e fra le maggiori aree verdi urbane d'Europa. Così, oggi questo parco permette ai romani di compiere lunghe passeggiate, perennemente circondati dal verde splendido paesaggio valloso-collinare, pieno di acqua e sorgenti, sempre con la percezione di essere lontano dalla città!

La creazione del parco è stata la meta finale di un lungo iter burocratico e soprattutto di una lunga lotta da parte di intellettuali, gente di buona volontà e, soprattutto, del comitato per il Parco della Caffarella. Grazie a loro, tale patrimonio si è preservato dalle mire degli edificatori ed è poi stato anche reso pubblico ed accessibile. E, sempre grazie a loro, nel parco è stato poi realizzata anche da un'estesa rete di sentieri, che permette di meglio usare il parco per attività ricreative. Essi, inoltre, continuano a ‘vigilare’ e tutelare il parco.

Vigilano perché, in effetti, ci sono ancora problemi legati alla sua fruizione - e il rischio edificazione non è ancora del tutto scongiurato! - ed, in effetti, basta farsi una passeggiata nel parco per rendersi conto che ancora oggi la zona è divisa tra terreni pubblici e privati. In effetti, nel parco c'è ancora un vero e proprio mosaico di molteplici appezzamenti. Essi appartengono, per circa la metà, alla Fondazione Gerini, che li ricevette in eredità dal defunto marchese Alessandro Gerini, originario proprietario della tenuta. Molti di questi sono stati dati in affitto. Gli altri terreni privati appartengono, invece, tra gli altri, anche a società edilizie straniere. Anche per fronteggiare questa mai doma ‘pressione’ edilizia, il Comitato per il Parco della Caffarella esiste ancora e, trasformato in Onlus, continua ad essere attivo. Atiivo per scongiurare edificazioni che potrebbero farci perdere questo irripetibile polmone verde pieno di storia e arte!

 

La valle è situata in un luogo unico e meraviglioso, a ridosso delle Mura Aureliane e compresa fra due direttrici ‘mitiche’, oltre che storiche e fondamentali dell’antichità: la via Latina e la via Appia. In effetti, la valle fu teatro di miti e leggende forse suggeriti dai morbidi rilievi che ne fanno un confine naturale, certo dalla presenza dell’Almone, piccolo affluente del Tevere, dai romani ritenuto fiume sacro sin dai primordi.

Questo meraviglioso polmone verde è uno dei pochi lembi di autentica Campagna Romana rimasta intatta nei secoli; un prezioso ecosistema in cui convivono le memorie del passato e le attività agricole tipiche del territorio. Tutto ciò in un ambiente rimasto pressoché immutato da secoli. Un paesaggio, che continua ad incantare! La valle alluvionale della Caffarella, cuore del parco, è suggestivamente intervallata da bei pianori sommitali tufacei e da versanti più o meno scoscesi.

La valle ed il suo parco sono, di fatto, la prosecuzione della “Passeggiata Archeologica”, che inizia dal Circo Massimo e che poi prosegue con i territori del Parco dell’Appia Antica. Non tutti sanno che, alla fine dell’Ottocento, le intenzioni di molti politici ed intellettuali erano di mantenere tutti i territori compresi dal Circo Massimo fino alle Frattocchie, alle pendici dei Colli Albani – comprendendo, dunque, anche l’intera zona del Parco dell’Appia antica – totalmente pedonali e, dunque, chiusi al traffico veicolare. Tale fantastico progetto si concretizzò purtroppo solo in parte (Parco dell’Appia Antica) e, come oggi vediamo, la zona di Via delle Terme di Caracalla ed il primo tratto dell’Appia antica, a ridosso di Porta San Sebastiano, sono carrabili. Ma, nelle intenzioni, la zona pedonale sarebbe dovuta iniziare lì e giungere, poi, fino al nostro odierno Parco della Caffarella-Parco dell'Appia Antica!

E, purtroppo, tutto questo fantastico patrimonio verde, ubicato tra il Circo Massimo ed i Colli Albani, non è del tutto valorizzato come meriterebbe, in quanto – nonostante il traffico veicolare – sarebbe, nonostante tutto, ancora oggi, potenzialmente possibile passeggiare ininterrottamente nel verde ed ammirando rovine archeologiche di primaria importanza. Partendo, appunto, dal Circo Massimo arrivando fino alle Frattocchie, nel comune di Marino, alle pendici dei Colli Albani!

Ma ci sono, purtroppo, degli ostacoli di non poco conto: c’è soprattutto il problema dell’ostacolo della ferrovia (ostacolo non ancora risolto) e quello del Grande Raccordo Anulare (problema parzialmente risolto: l’autostrada è stata interrata grazie al tunnel). Comunque, è evidente che non si sia mai fatto praticamente nulla per rendere il tutto un organico parco-percorso! Le istituzioni non hanno mai davvero tentato di valorizzare davvero la pedonalizzazione, soprattutto nel tratto dove l’Appia antica viene scavalcata da Via Cilicia e dalla ferrovia. In generale è evidente a chiunque la difficoltà pedonale del percorso all’interno della città. È senz’altro difficile ma, in fondo, volendo, si potrebbe tranquillamente fare qualcosa per creare perlomeno un corridoio bello ed agevole nell’unico tratto davvero problematico: quello di via Cilicia – Ferrovia.

 

Il parco è caratterizzato da notevole varietà di specie di piante.

Data la ricchezza di falde e di numerose sorgenti, in alcune aree incolte del fondovalle si è sviluppata una vegetazione spontanea idrofila tra cui il pioppo nero e il salice comune. Molto radicata è anche la cannuccia di palude e, nei prati allagati, la lisca maggiore, l’equiseto, il luppolo comune e l’orchidea acquatica (che a Roma è presente solo qui e nel Parco del Pineto).

Abbondano i prati naturali, carichi di erba mazzolina, di margherita gialla, di caccialepre, di erba medica orbicolare, salvia minore. Qui è stato, inoltre, trovato il raro lupino greco, presente soltanto in altre tre località italiane!

Tra le piante dei cespuglieti che compongono la Campagna Romana del Parco troviamo anche la ginestra comune, la rosa selvatica, il sambuco comune e la robinia.

Di fronte al Casale della Vaccareccia, si trovano due boschetti di querce: uno prevalentemente costituito dalla quercia di Dalechamps, l’altro da cerri e lecci. Di notevole interesse i grandi alberi di farnia, alla base del versante.

Sulla collina di fronte alla chiesetta di S. Urbano rimangono tre lecci secolari. E' qui che le fonti storiche localizzano un antico "Bosco Sacro", di cui i tre alberi possono essere l’ultima testimonianza.

 

Molti gli animali che vivono in questo luogo meraviglioso: la volpe, il riccio e il coniglio europeo, l'istrice crestato, la talpa romana o la lepre europea.

Molti i rettili: la lucertola italiana, la lucertola muraiola, il ramarro occidentale, la luscengola, il geco comune, il biacco, l'orbettino e la biscia dal collare.

Tra gli anfibi sono ospiti di fossi e stagni oltre alla rana verde e al rospo comune, il rospo smeraldino, la raganella italiana, il tritone crestato italiano e il tritone punteggiato.

Ma il vero tesoro faunistico del Parco sono gli uccelli. Nei 4580 ettari di Parco è, infatti, presente circa il 77% delle specie note come nidificanti a Roma ed il 34% di quelle conosciute a livello regionale. Volano il Pellegrino, la Quaglia, il Picchio verde, Averla piccola e la Calandrella, queste ultime segnalate rispettivamente come "Vulnerabile" e "In Pericolo" dall'IUCN.

 

Se, invece, parliamo dei beni culturali, le emergenze che rendono il sito eccezionale sono il Sepolcro di Annia Regilla, il suggestivo Ninfeo d’Egeria, la Chiesa di Sant’Urbano (clicca qui per la pagina di approfondimento sui beni culturali della Caffarella). E c’è anche il Casale Tarani risalente al 1600 sulla collina prospiciente la Valle della Caffarella. Bellissima da ammirare dal basso della valle! E poi c’è anche il suggestivo Casale della Vaccareccia, originariamente di proprietà dei Caffarelli che, come presto vedremo, è un po’ il nucleo originario della tenuta e, quindi, dell’odierno parco.

In effetti, la valle (200 ettari) prende il nome dalla tenuta storica cinquecentesca “Caffarelli” con al centro di essa il Casale (detto della Vaccareccia), che fu sempre il suo fulcro agricolo. La valle fu luogo fin dall’ antichità per coltivazione ed allevamento ed ancora oggi è interessata da un allevamento di ovini e di produzione di latte e formaggi.

In effetti, nel Piano di Utilizzazione, approvato dal Comune di Roma nel 1996, questo allevamento e la produzione di latte e formaggi costituisce un punto di servizio del parco, sia per l’ attività agricola che di servizio per il pubblico per la conoscenza dei valori culturali e paesaggistici dell’ area.

Il casale, come detto posto al centro della Valle della Caffarella, fu fin dal Cinquecento una grande tenuta agricola. Essa fu originariamente realizzata dalla famiglia Caffarelli. Fu questa famiglia che edificò il casale nell’anno 1500, inglobando una preesistente torre di avvistamento medievale, dopo aver bonificato la valle dell’Almone e unito tutta l’area in un’unica azienda agricola. L’edificio compare nella carta del Lazio di Eufrosino della Volpaia del 1547 con la denominazione “Vigna de Cafferelli”. Il vasto fondo comprendeva la tenuta e si estendeva tra l'arco di Travertino, Campo di Bove, Tor Carbone, Statuario, Casal Rotondo e Quadraro. Nel tempo, il possesso passò ai Rospigliosi, ai Pallavicini ed infine ai Torlonia.

Osservandolo oggi, sin dal primo sguardo si nota che il casale sia costituito da un insieme di costruzioni aggiuntesi in epoche diverse anche se, comunque, aggregate in maniera abbastanza omogenea.

Il casale ingloba una preesistente torre del XIII secolo: la struttura che si vede svettare sulla destra, ammirando il casale da davanti. La torre è realizzata in blocchetti di tufo e scaglie di marmo ed in origine era molto più alta e permetteva di controllare tutta la valle e la tenuta fino alla via Latina (e quasi fino all’Appia). Questa, comunque, non era l’unica presente in zona: in effetti, ce ne erano altre cinque strutture di avvistamento presenti in età medievale e rinascimentale nei punti strategici della valle. La torre presenta delle aperture al livello del primo e del secondo piano del casale, per cui, pur presentandosi attualmente completamente vuota all’interno, potrebbe essere stata utilizzata dopo la realizzazione del casale per il collegamento tra il piano superiore e gli ambienti inferiori interrati.

Visto frontalmente il casale è veramente splendido e suggestivo. Eppure la parte più bella rimane sempre quella interna, visibile solo accedendo nella struttura (si può visitare facilmente, basta chiedere). In effetti, la struttura principale del Casale, ubicata in alto ma non visibile dall’esterno, presenta sul lato nord-ovest un bellissimo porticato ad archi su antiche colonne di granito con capitelli corinzi di marmo, tutto di reimpiego. Sopra di esso sono le stanze di abitazione al piano nobile. Questo porticato affaccia su una grande aia di circa 2.000 metri quadrati, che è anche una splendida balconata panoramica sulla Valle. Dal porticato si accede alla casa dei contadini, col tetto a spiovente, la loggia del '500 e il fienile, in unico corpo rinforzato da robusti muri di sostegno.

Nel 1695 i Caffarelli vendettero la tenuta ai Pallavicini, che la tennero fino al 1816, anno in cui la cedettero ai Torlonia. Questa famiglia eseguì dei lavori di ristrutturazione nel casale, aggiungendo la grande stalla lungo uno dei lati dell'aia ed affiggendo gli stemmi di famiglia sul portico e su altri ambienti del casale (una corona che sovrasta due comete). Inoltre, bonificarono il fondovalle per l'ultima volta.

Oggi qui si trova la caciara dell’Azienda Agricola Caffarella dove è possibile acquistare ricotta e formaggio fresco o stagionato di pecora. Le stalle infatti ospitano il gregge più numeroso del parco.

Ancora oggi è abitata da contadini che producono formaggi e ricotte ricavati da pecore lasciate al pascolo nella Valle.

Casa del Parco Vigna Cardinali: nolo bici, ristoro, feste, attività didattica, visite guidate, orto, eventi. Agli inizi del Novecento Casa e territorio appartevano ai Torlonia che qui avevano anche una vigna ed un frutteto. Erano ai tempi i proprietari della Valle.

 

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Abbiamo già accennato sulla lotta eroica dei cittadini che hanno fatto sì che questa meraviglia sia oggi fruibile da noi. In effetti, se oggi possiamo godere di tutto ciò è merito degli intellettuali e del comitato per il Parco della Caffarella.

Infatti, negli anni ’50 del Novecento essi riuscirono a scongiurare la cementificazione che Alessandro Gerini - che aveva sposato una Torlonia (Teresa, figlia di Alessandro Torlonia) e che era venuto in possesso di questi terreni - avrebbe voluto mettere in atto, edificando 1.010.824 metri cubi di villette più altri 3.000.000 sull’Appia Antica. Era quasi riuscito nel suo intento, influenzando il Comune di Roma che giunse ad approvare il Piano Paesistico con queste cubature. Ma, come detto, vi fu la fortissima reazione degli intellettuali che fu talmente vibrante da indurre l’allora ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini a bloccare questo Piano.

Se si volesse avere un’idea di come apparisse questa zona ai tempi e se si volesse avere un’idea del “clima di assedio” dell’edilizia che incombeva sul Parco e su Roma tutta si può guardare il sublime film “La ricotta” di Pier Paolo Pasolini, girato qui nel 1963.

Alla morte di Alessandro, avvenuta il 5 giugno 1990, tramite testamento, Alessandro lasciò una cospicua parte della sua eredità ad una fondazione ecclesiastica: la Fondazione Gerini, legata ai Salesiani. Anche la Caffarella quindi divenne proprietà della Fondazione.

Nel 1988 il Comitato per il Parco della Caffarella raccolse 13.000 firme di cittadini che chiedevano l’esproprio della valle e le consegnò al Parlamento Italiano; quest’ultimo recepì la richiesta e, nel 1990, con la Legge per Roma Capitale d’Italia, venne destinata al Comune di Roma la somma di 26 miliardi di lire per l’esproprio della Caffarella.

Purtroppo, però, l’iter per l’esproprio della Caffarella fu messo in moto solo nel 1994, con la Giunta presieduta dal Sindaco Francesco Rutelli. Esso fu, oltretutto, lungo e laborioso e ci fu anche il rischio che molto tornasse in mano ai privati o comunque che non diventasse fruibile da parte del pubblico.

L’Ufficio Tutela Ambiente del Comune di Roma realizzò il Piano di Utilizzazione della Caffarella, atto propedeutico all’esproprio (esproprio per 130 ha), indicante la destinazione di tutte le aree e dei casali; tale piano, che vide la partecipazione attiva del Comitato per il Parco della Caffarella, fu sottoscritto il 19 aprile 1996 dal Comune di Roma, dalla Regione Lazio, dal Ministero dei Beni Culturali, dall’Ente Parco dell’Appia Antica e approvato dal Sindaco con Ordinanza n. 486 del 24 giugno 1996. L’ esproprio viene sviluppato con i fondi stanziati con legge 396/90 “ Roma Capitale”.

Il Parco dell’Appia Antica, allora presieduto da Antonio Cederna, vincolò la sua firma alla condizione che il casale centrale della valle, il Casale della Vaccareccia, venisse inserito nei piano di esproprio e destinato ad attrezzature per la fruizione del paesaggio agricolo e storico.

Il primo esproprio, effettuato nel 1999 dalla seconda Giunta presieduta dal Sindaco Francesco Rutelli, interessò 70 ettari di Caffarella, purtroppo sparsi a macchia di leopardo nella valle e solo alcuni monumenti, esclusa la Vaccareccia.

Ma, a seguito delle vibranti pressioni esercitate da cittadini e dai comitati, finalmente la Vaccareccia venne vincolata ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004.

Dato però che solo la metà dei 26 miliardi di lire erano stati spesi dal Comune di Roma, il Comitato per il Parco della Caffarella sollecitò il nuovo sindaco di Roma Walter Veltroni ad effettuare un secondo esproprio che interessasse prioritariamente anche la Vaccareccia. Il 3 marzo 2005 il Sindaco Veltroni firmò il decreto di esproprio della Vaccareccia, di due casali minori e di altri 40 ettari della valle.

Il processo però non era ancora completo e c’era ancora il rischio che tutto il processo fosse vanificato: infatti, per il completamento del processo di esproprio era necessaria l’immissione nel patrimonio comunale dei beni, entro due anni dalla data di esproprio; senza l’immissione nella proprietà comunale, infatti, il casale della Vaccareccia, i casali minori e i terreni rischiavano di essere restituiti ai privati.

Il Comitato si attivò nuovamente e, sensibilizzando e mobilitando cittadini ed intellettuali, facendo generare articoli sui quotidiani, si riuscì di presentare un’interrogazione d’iniziativa popolare che portò alle risoluzioni dei Municipi IX e XI favorevoli all’immediata immissione in possesso. Grazie a ciò, il Comune di Roma fu costretto ad effettuare l’immissione in possesso dei beni, cosa che avvenne il 28 febbraio 2007, esattamente tre giorni prima della scadenza dei termini che avrebbe consentito il ritorno della Vaccareccia ai privati.

La grande proprietà che fu di Erode Attico

Erode Attico possedette anticamente una grandissima proprietà in questa zona. Era un ricchissimo ateniese vissuto dal 101 ad 177 d.C., e le notizie che possediamo furono tramandate dal suo biografo Filostrato.

Erode Attico fu chiamato a Roma come precettore dei figli adottivi di Antonino Pio: Marco Aurelio (imperatore dal 161 al 180) e Lucio Vero (imperatore dal 161 al 169). Nel 143 ottenne il consolato e sposò Regilla, appartenente alla gente Amnia, un'antica ed illustre famiglia alla quale apparteneva anche Marco Aurelio.

Fu incolpato della morte della moglie e chiamato in giudizio dal fratello di lei. Fu poi assolto e, per riguadagnarsi la simpatia della gente, organizzò grandi manifestazioni di lutto e consacrò alla memoria della moglie un sua proprietà sulla Via Appia. Ai tempi questa si chiamava Triopio, forse per via della forma geometrica del fondo o forse perché si trovava su un incrocio di tre strade. Su una colonna presso la Tomba di Cecilia Metella, che sorge nei pressi, è scritto "Annia Regilla, Erodis uxor, lumen domus, cuius haec praedia fuerunt" (Annia Regilla, moglie di Erode, luce della casa, alla quale appartenne questo podere).