VILLA ADRIANA

La residenza imperiale suburbana più celebre e splendida

Villa Adriana è uno dei siti archeologici più importanti del mondo. Un grandissimo complesso concepito sin dall'inizio per essere un armonico insieme di edifici e giardini, nei quali architettura e verde erano in perenne relazione ed in cui l'acqua era sempre assoluta protagonista.

Si potrebbe semplicemente definire una residenza suburbana imperiale ma, date le sue estesissime dimensioni, era davvero una sorta di città! Ma essa era, in realtà, anche molto di più: essa doveva, infatti, soprattutto simboleggiare l'Impero Romano. E, come lo concepiva l'imperatore Adriano, doveva simbolicamente raffigurare l'unione delle diversità che formavano l'impero.

È di fatto e sostanzialmente una "città ideale", il "palazzo ideale", summa dell'impero e dei suoi ideali di impero e della romanità! Palazzo ideale dell'imperatore e della sua corte e della romanità!

Benvenuti a Villa Adriana!

Villa Adriana si trova presso Tivoli ed è la più grande delle ville mai costruite dai patrizi e dagli imperatori romani. Si trova ad una trentina di kilometri a Nord-Est di Roma ed i ruderi affioranti tra la vegetazione occupano una superficie di circa 60 ettari.

Comunque, i resti avvistati tutt’intorno fanno ritenere agli archeologi che la villa avesse un'estensione almeno 5 volte più grande e che avesse quindi un'area complessiva di oltre 120 ettari. A dirla tutta, dovremmo riconoscere che non sia nemmeno possibile affermare che la parte sinora conosciuta fosse la parte principale del complesso.

La Villa sorge su un basso pianoro tufaceo alle pendici dei monti Tiburtini e delimitato da due torrenti, l'Acqua Ferrata a est e Risicoli o Roccabruna a ovest. Essi si riuniscono successivamente in un unico fosso e confluiscono, infine, nell'Aniene non lontano da Ponte Lucano, dove la Via Tiburtina attraversava il fiume salendo poi verso Tivoli (Tibur).

Villa Adriana non deve essere immaginata come un'unica struttura, ma come un insieme di oltre trenta edifici adibiti alle varie funzioni necessarie (dall'abitazione al ricevimento, dallo studio al divertimento, dall'attività politica al riposo), immersi nel verde di un giardino ricco di acque, fontane, vasche artificiali e statue.

Comunque, il nome di «villa» in senso moderno appare inadeguato a designare un complesso di tale sviluppo: il complesso era, di fatto, una sorta di «città agreste», atta ad accogliere non solo l'imperatore e il suo seguito, ma anche gran parte della corte imperiale. In effetti, la villa rispondeva anche alle esigenze di decentramento dei centri direzionali ed amministrativi che si fece sempre più marcata durante l’età imperiale.

Il complesso conosciuto è orientato genericamente da N.W. a S.E. ed ha pertanto un'esposizione prevalente verso S.W.: è la stessa di tutte le grandi terme imperiali. È l'esposizione più idonea – come quella che più si presta a fruire del maggior numero di ore di sole nella giornata – a una residenza soprattutto invernale.

Nella sua articolazione la villa ripropone la visione che Adriano aveva del suo immenso impero, come organico insieme di culture diverse e autonome, ma comunque raccolte e amalgamate sotto il denominatore della comune e condivisa appartenenza a Roma.

Ed è particolarmente notevole notare che, pur di ‘rievocare’ luoghi lontani ed edifici, non ci si limitò a costruire ma si intervenne profondamente nel paesaggio, modificandolo: in effetti, i lavori ridisegnarono gran parte della campagna circostante, anche deviando in parte il corso del fiume Aniene e creando diversi livelli di terrazzamenti ai piedi dei monti Tiburtini.

La grandiosità dell'intervento andò, insomma, oltre la semplice progettazione architettonica e venne coinvolto anche il territorio. Nel contempo, è altrettanto vero che la villa fu costruita anche seguendo l’andamento del terreno, che venne tuttavia regolarizzato ed imbrigliato da potenti terrazzamenti.

Questo è importante da ricordare: perché se da un punto di vista si intervenne nel paesaggio per modificarlo per fargli assumere la conformazione desiderata, per farlo assomigliare ad un determinato paesaggio ‘estero’, dall’altro è incredibile notare come Villa Adriana possa considerarsi anche un precoce e preconizzante esempio di architettura organica!

Infatti, gli edifici della villa sono disposti secondo 5 allineamenti principali che sono determinati non da una concezione urbanistica rigidamente unitaria e decisa freddamente a priori. Al contrario, essi seguono principalmente la conformazione del terreno! Il complesso architettonico si adegua alla configurazione topografica naturale e questo modo di concepire l’architettura si distacca nettamente dai canoni sino a quel momento seguiti da tutta l'architettura ellenistica e romana.

La scelta dei nomi di molte delle costruzioni è direttamente collegabile alla personalità stessa di Adriano, uomo coltissimo e raffinato, che in questo modo ha voluto ricostruire nella propria abitazione i luoghi del mondo a lui più cari. È questo il caso, ad esempio, del Pecile, evidentemente ispirato all'omonimo portico dell'agorà di Atene, o del Canopo, con allusione al canale artificiale che collegava l'omonima città egizia con la mitica Alessandria.

Le fonti antiche ci dicono che Adriano concepì la villa come luogo in cui trascorrere gli ultimi anni della sua vita, in tranquillità, occupandosi delle sue attività predilette, quali la pittura, la musica, la pittura, la letteratura, l’architettura.

I lavori si protrassero almeno dal 118 al 138, ma già nel 125 Adriano vi aveva preso la residenza, per cui possiamo ipotizzare che mancassero ancora solo alcune opere secondarie o di rifinitura.

Gli attuali resti, in parte non ancora riportati alla luce, non ci offrono che una pallida testimonianza di quella che fu la più ricca e famosa fra le ville romane.

Dopo la morte di Adriano la villa fu utilizzata dai successori, i quali peraltro proseguirono i lavori di abbellimento e manutenzione. Sappiamo però che già Costantino ordinò la spoliazione di molte opere d’arte per inviarle a Bisanzio.

Le invasioni barbariche devastarono il complesso e le ruberie furono davvero considerevoli, come è logico, dato che si trattava di un complesso ubicato fuori da mura.

Nel Medioevo fu utilizzata come cava di materiale - esattamente come avveniva a Roma - e soprattutto dagli abitanti di Tivoli. La popolazione locale chiamava il sito “Tivoli vecchio”, a dimostrare che le dimensioni sconfinate della villa e la grandiosità degli edifici la facevano ritenere addirittura una città! Anche questo accomuna Villa Adriana a Roma, dove le ville suburbane (ad esempio, quella dei Quintili, dei Sette Bassi) erano credute antiche città abbandonate.

A partire dal Rinascimento le sue rovine furono ammirate e studiate e vi si effettuarono scavi. Essi però miravano inizialmente pressoché esclusivamente al rinvenimento di sculture e materiali preziosi. La concezione dello ‘scavo scientifico’, mosso da esclusivo interesse conoscitivo, che è predominante oggi, era di fatto lungi da venire!

In ogni caso, Pirro Ligorio, che era incaricato soprattutto di questa mansione, fu l’architetto che forse più di ogni altro si ispirò alla Villa per le sue realizzazioni: a Villa d’Este e anche al Vaticano (si pensi al nicchione e alla Casina di Pio IV). Anche gli artisti barocchi, soprattutto Bernini e Borromini, trassero grandissima ispirazione dal complesso adrianeo. È impossibile pensare all’arte tardo-cinquecentesca e barocca senza considerare Villa Adriana: l’influsso fu notevole.

Solo a partire dal XIX secolo si fecero scavi archeologici scientifici svolti con interesse all’architettura e alla comprensione funzionale della villa (scavi di Nibby e Canina).

Soprattutto dopo l’unità d’Italia gli scavi furono estesi e forieri di grandi risultati.

Oggi la villa vi attende per stupirvi ed emozionarvi!

L'acqua come assoluta protagonista a Villa Adriana

Villa Adriana è uno dei siti archeologici più importanti del mondo e molti sono i motivi per i quali emoziona ad ogni visita.

Eppure, ciò che la rende davvero così unica è il fatto di essere non un’unica struttura bensì un armonico insieme di edifici e porticati, sempre magicamente alternati ed amalgamati ai giardini, con ovunque  la presenza di fontane, vasche e canali (sia all’interno delle strutture che all’esterno). L’acqua è sempre protagonista a Villa d’Este!

L'acqua è un elemento integrante, se non addirittura componente, dell'architettura!

In effetti, architettura, giardini e acque sono spesso compenetrati e indivisibili: spessissimo le soluzioni architettoniche sono concepite soprattutto o unicamente per il loro specchiarsi nell'acqua! (Esempio principe, ovviamente, il meraviglioso Teatro Marittimo).

Il Pecile ed il suo portico... pensato per la "digestione serena"!

Il portico del Pecile era destinato alla passeggiata post-prandiale. Non è un caso che venne costruito della lunghezza di 1450 piedi. Percorrendolo per sette volte si coprivano due miglia romane, la lunghezza che le fonti antiche indicavano come la passeggiata salutare (deambulatio) consigliata dai medici dell'epoca.

E qui la passeggiata era davvero salutare per la mente e per il corpo! Si digeriva sicuramente alla grande ammirando quel grande e placido specchio d'acqua, camminando nella dolce penombra garantita dal portico ed ammirando contemporaneamente anche la bellezza del dolce paesaggio tiburtino!

Il Teatro Marittimo

Era una sorta di "buen ritiro" durante il potere. Era un' "isola felice" e tranquilla dove meditare e guidare l'impero lontani dal trambusto e dove prendere ponderatamente decisioni importanti. Venne chiamato tempio e anche 'marittimo', dato che sorge sull'acqua, in un ampio bacino, come se fosse una piccola isola.

Un'architettura meravigliosa fatta di linee curve e rette, un tempo piena di colonne e marmi preziosi (anche alle pareti): e tutto ciò si specchiava nell'acqua!
Adriano vuole ricreare l'universo in miniatura. Qui egli poteva isolarsi dal mondo per riflettere, meditare e per comporre versi.
Era un'abitazione essenziale con uno spazio per mangiare, uno per dormire e le latrine. E tutto ciò su una vera e propria isoletta.
Al tramonto, con il cielo che tinge di soffici colori il bianco marmo delle architetture, questo luogo si trasfigura e l'emozione diventa davvero sublime!

-Il tempio prende l'appellativo di 'marittimo' in quanto sorge sull'acqua, in un ampio bacino, come se fosse una piccola isola.

Il particolare molto affascinante è che la struttura non prevedeva nessun ponte in muratura che collegasse quest'ultimo alla terraferma, e gli unici collegamenti erano dei ponti levatoi che solo Adriano poteva attivare dall'isola.

Dal pronao, di cui rimangono solo le basi delle colonne, si passa nell'atrio arricchito su ciascun lato da una nicchia rettangolare. Un ingresso assiale immette in un portico di forma circolare, sorretto da colonne ioniche e coperto da volta a botte.

Canopo e Serapeo

Il complesso del Canopo-Serapeo è, senza dubbio, uno dei luoghi più conosciuti e visitati di Villa Adriana.

II Canopo è costituito da una stretta vallecola in parte artificiale, delimitata da contrafforti in muratura e percorsa da un ampio bacino d'acqua, che si conclude con un articolato padiglione e che è stato interpretato come un evidente richiamo a Canopo, il canale che collegava ad Alessandria l'omonima città sul delta del Nilo, famoso per le feste notturne che vi si svolgevano.

Lo splendido e suggestivo Canopo, specchio d’acqua allungato, termina in un monumentale ninfeo a esedra, denominato Serapeo. Esso si ispira al tempio di Serapide, che aveva sede nella città di Canopo.

Si tratta di uno degli edifici più incredibili ed iconici di Villa Adriana: anche solo per ammirare questo monumento si giustificherebbe un viaggio transoceanico! Secondo la tradizione l'edificio riproduce e ricorda il tempio dedicato a Serapide che sorgeva nella città di Canopo, vicino Alessandria d'Egitto. In esso era presente un lungo canale navigabile, lungo 20 km. Adriano fece lo fece ricostruire in scala, per avere una rappresentazione evocativa di un ambiente egizio in senso esotico. Doveva essere un luogo di delizie, un ricercato ambiente egizio, un luogo di piacere che ricordava il fascino dei celebri banchetti e delle feste che si tenevano sul Nilo.

Fu Pirro Ligorio (Napoli, 1513 – Ferrara, 30 ottobre 1583), il grande architetto napoletano che lavorò al servizio del cardinale Ippolito d’Este, facendo specifiche ricognizioni nella Villa, a riconoscere per primo il Canopo menzionato nella biografia di Adriano (Elio Sparziano, Vita Hadriani). Egli lo definì tempio del dio Canopo o Nettuno.

Questa identificazione venne poi accettata senza riserve: in effetti, gli elementi a sostegno di questa interpretazioni erano molti. Infatti, non solo Ligorio vi aveva rinvenuto  una statua di Iside ma, in più, questa interpretazione risultava ulteriormente confermata dal rinvenimento da parte di Gesuiti, nel corso del Settecento, di un complesso di sculture egittizzanti in basalto e pietra nera. Esse oggi si conservano presso i Musei Vaticani, nella Sala di Antinoo.

Negli ultimi tempi c’è stato, però, un ‘colpo di scena’: una più accurata rilettura critica delle fonti antiquarie ha quasi con sicurezza accertato che il vero luogo di ritrovamento di questo complesso di sculture, da parte dei Gesuiti, sia avvenuto nella zona di fronte alle Cento Camerelle e non nella zona del Canopo-Serapeo. Oltretutto, tale ipotesi sarebbe confermata dal fatto che anche recentemente sono lì venuti in luce materiali del tutto analoghi.

Alla luce di ciò, appare sempre meno convincente l’ipotesi che ha tradizionalmente investito il luogo di un significato religioso: ad esempio, si era pensato ad un rilancio del culto di Serapide promosso da Adriano e/o alla celebrazione del nuovo dio Antinoo.

Ma, come detto, il complesso, più che tempio o sacrario del divinizzato Antinoo va piuttosto interpretato come una rappresentazione evocativa di un ambiente egizio in senso esotico, un giardino nilotico destinato ai banchetti, analogamente al canale sul delta del Nilo, famoso per le feste che vi si svolgevano.

E, soprattutto, sembra debba essere sempre più scartata la teoria, che ha sempre avuto largo seguito, che l’imperatore avesse voluto rappresentare qui l’Egitto del suo viaggio, nel quale era morto il giovane favorito. Infatti, i marchi di fabbrica presenti sui laterizi, provano che la costruzione del Canopo vada collocata in una data decisamente antecedente al 130 d.C.

 

Ma torniamo al Canopo-Serapeo: esso è caratterizzato da una splendida cupola a vela che, originariamente, decorata da un mosaico in pasta vitrea. Il tutto prosegue poi con lunga abside scoperta sul fondo. Ai lati, invece, si sviluppano due corpi minori che inquadrano una piscina rettangolare antistante il ninfeo. In esso si può ammirare la presenza di uno stibadium, ossia un letto tricliniare.  Esso è ubicato all’interno dell’ampio padiglione a esedra del Canopo e conferma che il complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto, arricchito da giochi d’acqua. In più, le cascatelle, i canali, e il mosaico di pasta vitrea sulla grande volta a ombrello dell’esedra conferiscono al padiglione quasi l’aspetto di una fontana monumentale.

Lo stibadium, il letto triclinare, è costituito da un basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata. È affascinante sapere che era, ai tempi, coperto da tappeti e cuscini: su di esso gli ospiti si sdraiavano e potevano banchettare, rinfrescati dallo scorrere dell’acqua in rivoli, cascatelle e fontane. È veramente suggestivo immaginare come l’acqua circondasse e rinfrescasse i commensali durante i pasti e i conviti estivi. Il delicato suono dell’acqua era anche una parte importante della ‘emozione plurisensoriale’ che coinvolgeva vari sensi: gusto, vista e udito!

A rendere il quadro ancora più affascinante è sapere che lo specchio d’acqua era, inoltre, inquadrato da un pergolato e da siepi di fiori. Inoltre,  esso era decorato da numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua: su un dado in muratura nella zona meridionale era posizionato il gruppo di Scilla, mentre sul lato opposto era verosimilmente collocato il coccodrillo-fontana di marmo cipollino.

Negli anni cinquanta, in occasione di ulteriori scavi, tutta l’area venne finalmente liberata dall’interro, e si rinvennero le statue del coccodrillo, di una statua di personaggio semisdraiato raffigurante il Nilo e due Sileni canefori (portatori di canestri) con funzione di telamoni, derivanti da modelli di ambiente alessandrino.

 

Tornando all’interpretazione del luogo va sottolineato come, oltre alla statua di Iside scoperta da Pirro Ligorio, siano comunque poche le sculture di soggetto egizio provenienti con certezza dal Canopo, tutte peraltro realizzate non in stile egittizzante, ma secondo i canoni dell’arte ellenistica.

Pretorio

Il Pretorio si compone di due corpi ben distinti tra loro.
La parte inferiore è costituita da tre piani sovrapposti di piccoli ambienti non comunicanti, con pavimenti in legno sostenuti da mensole in travertino. Erano accessibili da ballatoi esterni collegati da una scala in muratura, visibile all'estremità occidentale.
In passato si credeva l'alloggio dei pretoriani che prestavano servizio al seguito dell'imperatore.

Piccole e grandi terme

Le Grandi Terme devono la loro denominazione sia all'ampiezza dei singoli ambienti sia alla vastità di superficie occupata rispetto agli altri impianti termali della villa.

Entrambi i complessi delle Piccole e Grandi Terme erano collegati, sul lato occidentale, da un corridoio sotterraneo che permetteva l'accesso ai praefurnia ed era direttamente raggiungibile dal personale di servizio alloggiato nell'area delle Cento Camerelle. Lungo questo lato si dispongono gli ambienti riscaldati tra i quali, immediatamente riconoscibile per la forma circolare e la copertura a calotta con occhio centrale, nonché l'assenza di impianti idrici, la sala per la sudatio, che conserva ancora tutta la sua imponenza, nonostante il crollo della porzione frontale su cui si aprivano le grandi finestre per catturare i raggi solari.