Galati morenti del Donario di Pergamo

Si tratta di sculture tra le più celebri dell'antichità, tra le più rappresentative dell'età ellenistica. Si tratta di quella che potremmo definire "l'ultima parte" dell'arte antica greca, convenzionalmente datato dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla conquista romana dell'Egitto (cioè dell'ultimo regno ellenistico indipendente) nel 31 a.C. 

In questo periodo - e soprattutto dalla seconda metà del III secolo d.C. - la scuola di Pergamo assume il ruolo guida nella produzione di grandi gruppi scultorei.


Il Galata suicida (230-220 a.C.) propone un tema particolarmente indagato in tale ambiente artistico: quello cioè della figura stante che sostiene un'altra figura il cui corpo è senza vita.
Il gruppo, che faceva parte del Donario voluto sull'acropoli di Pergamo (presso il Tempio di Atena Nikephoros) da Attalo I per celebrare la propria vittoria sui Galati del 230 a.C., rappresenta un personaggio stante, identificato come galata dalla capigliatura scomposta e dai lunghi baffi, il quale, dopo aver ucciso la moglie, si toglie la vita per non finire schiavo dopo la sconfitta subita.

Lo scultore, identificato da alcuni studiosi con Epigono, secondo una testimonianza di Plinio, svolge il tema in modo intensamente drammatico; gioca, infatti, sulla contrapposizione tra il corpo muscoloso dell'uomo, che volge fieramente la testa verso l'alto mentre si conficca la spada nel torace, e quello senza vita della donna, il cui capo e il cui braccio destro pendono nell'abbandono della morte.

Il panneggio svolazzante del guerriero contrasta con le lunghe pieghe del vestito della moglie che cadono verso il basso a evidenziare lo scivolamento del corpo verso il suolo.

La decisa torsione del capo del guerriero verso destra suggerisce all'osservatore un movimento intorno all'intero donario, non a caso costituito da un piedi stallo di forma circolare. Su di esso il Galata suicida era posto al centro in posizione culminante circondato dalle statue di altri guerrieri vinti e giacenti, tra cui il Galata morente: il guerriero si regge a fatica sul braccio destro mentre con il sinistro tampona il sangue che sgorga da una ferita sulla coscia.


Queste statue, attraverso l'esaltazione del coraggio e della dignità dei vinti, vogliono in realtà glorificare soprattutto il valore del vincitore. In ogni caso vi si ritrova l'intenso "patetismo", ossia l'espressione teatrale della sofferenza, che caratterizza la scultura pergamena.

La tipica figurazione drammatica degli avvenimenti storici trova corrispondenza nella Poetica di Aristotele: nella parte sulla tragedia il filosofo consiglia, per destare terrore e compassione, di rappresentare «fatti mortali o luttuosi, come uccisioni a scena aperta, sofferenze intense, ferimenti..