La caccia nell' antica Roma

La caccia era molto amata e praticata dagli antichi romani. Era praticato a tutte le età, sia da giovani che da meno giovani. Anche le donne potevano praticarlo (Giovenale, Satire, 1, 22). Praticavano la caccia alla selvaggina di terra (venatio) e quella ai volatili (aupicium), che richiedeva una diversa arte e strategia. 

Nelle venationes si utilizzavano reti a maglia di corde per intrappolare le prede magari inseguite a cavallo e con l'ausilio dei cani. Abbiamo raffigurazioni di ciò in mosaici e in sarcofagi. Si utilizzavano molti cani, i battitori e molte reti a delimitare la zona interessata dalla battuta di caccia. Molti si dedicavano in maniera attiva alla caccia, in groppa ai cavalli ma molti invece preferivano semplicemente attendere in tranquillità le prede presso le reti. Ed alcuni amavano nel frattempo dedicarsi ad attività intellettuali. Ad esempio Plinio il giovane: ""Stavo seduto presso le reti, tenevo a por- tata di mano non già il vena- bulum (una sorta di arpione) e la lancia, ma lo stilo e le tavolette cerate; meditavo e annotavo qualche appunto, in modo tale che, se anche fossi tornato a casa a mani vuote, avrei riportato le tavolette piene. (...) lo stesso gran silenzio che la caccia esige e un forte stimolo per il pensiero" (Plinio il Giovane, Lettere, 1, 6).

Cani di diversa ta- glia e razza venivano allevati e cresciuti per divenire fedeli e insostituibili compagni dell'uo- mo nelle battute di caccia. Fin da cuccioli venivano aizzati contro pelli di animali selvatici (Orazio, Epistole, 1, 2, 66-67) e, una volta cresciuti, poteva- no scovare la preda con il loro ottimo fiuto e inseguirla per ore (Plinio il Vecchio, Storia Naturale, 8, 61, 147). Ogni cane aveva naturalmente un nome.