Statua equestre di Marco Aurelio

Uno dei simboli di Roma, la mitica statua equestre dell’imperatore Marco Aurelio! Una statua iconica, che è nel cuore di ogni romano e di chiunque ami la Città Eterna e la sua storia!

E ciò anche e soprattutto perché si tratta dell'unica statua equestre di epoca classica giunta integra fino a noi! E non tutti sanno che ciò sia avvenuto solo per via … di uno ‘scambio di persona’! Eh già: la statua è arrivata fino a noi – ma sarebbe più corretto dire che si è salvata – solo per via di un errore di identificazione! Infatti, nel Medioevo la si credette un ritratto dell’imperatore Costantino, il primo imperatore cristiano – e costruttore dei primi grandissimi edifici di culto dei cristiani – pertanto, solo per questo motivo non venne distrutta o … riciclata!

Eh sì, perché, come forse saprete, nel Medioevo c’era carenza di materiali nobili quali il bronzo e, oltretutto, dato che il paganesimo era stato ufficialmente vietato dai tempi dell’imperatore Teodosio (editti del 380 e 391-392), non ci si faceva davvero nessuno scrupolo a ‘riciclare’ le statue e gli altri “beni culturali” dell’era pagana. E, nel caso delle statue bronzee, esse venivano fuse per poi riutilizzare il materiale per altri usi, primi tra essi per i primi pseudo-cannoni e per le campane. La semplice rivendita del materiale in quantità minori era lucrossisima! Meno male, insomma, che si riconobbe nella statua Costantino!

La statua si salvò e venne poi portata al Laterano, dove lo stesso imperatore aveva costruito il primo palazzo dei Papi, che sorgeva annesso alla Basilica Lateranense, oggi nota come San Giovanni in Laterano. Il Marco Aurelio fu collocato in Campidoglio solo nel Cinquecento.

L’opera è un ritratto celebrativo, originariamente in bronzo dorato. È del tutto probabile che sia stata realizzata per celebrare la vittoria dell’imperatore sulle popolazioni germaniche nel 176 d.C., oppure nel 180 d.C., anno della sua morte.

Queste le sue misure: 400 x 230 x 410 cm. L’imperatore viene raffigurato a grandezza naturale; la statua equestre poggia sulle tre zampe del cavallo che rappresentano gli unici appoggi della scultura. Il cavallo incede avanzando la gamba posteriore sinistra e l’anteriore destra.

Il punto di vista dal basso determina la monumentalità che è necessaria a sottolineare l’autorevolezza del personaggio.

La scultura equestre mostra una superficie scura e a tratti sono ancora visibili tracce della patina d’oro che ricopriva la statua. Le pieghe che si formano sulla parte alta del collo del cavallo e i panneggi degli abiti dell’imperatore creano chiaroscuri netti. Il corpo del cavallo invece è modellato con volumi morbidi. Il chiaroscuro si infittisce poi tra i capelli e la barba di Marco Aurelio.

Come detto, si tratta dell’unica statua equestre di età romana conservatasi integralmente. E va ora però sottolineato che fu anche e soprattutto il modello per le celebri statue celebrative dei condottieri rinascimentali: prime fra tutte i celebri i monumenti ad Erasmo Gattamelata di Donatello e Bartolomeo Colleoni del Verrocchio.

Il monumento equestre di bronzo dorato si inserisce in una tradizione molto diffusa dall'età ellenistica a quella romana. Modello iniziale è ritenuta la statua di Alessandro Magno a cavallo di Bucefalo, appartenente a un gruppo bronzeo che comprendeva ben 25 cavalieri, opera di Lisippo e realizzata dopo la battaglia del Granico (334 a.C.). Purtroppo, come quasi sempre avviene nel caso delle statue greche, l’originale è perduto ma, fortunatamente, si conserva una piccola copia in bronzo nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Comunque, a differenza del modello greco, Marco Aurelio non viene rappresentato nell'impeto della battaglia ma mentre avanza solenne tendendo il braccio verso le truppe in un gesto di pacificazione. Non indossa la corazza né porta armi: lo vediamo abbigliato col paludamentum sopra la tunica. Le gambe sono scoperte ed ai piedi indossa calzari di cuoio fissati con nastri annodati. I capelli sono corti e ricci mentre il viso in basso è incorniciato da una folta barba. L'imperatore si fa ritrarre barbato, alla maniera del filosofo.

Nel gruppo scultoreo cavallo e cavaliere si integrano in perfetto equilibrio: il passo calmo del cavallo è in sintonia con la fermezza e la serenità dello stato d’animo dell'imperatore. Le figure alternano superfici levigate dal chiaroscuro graduale ad altre di più forte colorismo come nei capelli, nella barba e nelle pieghe del mantello, così come nella ritrattistica e nella statuaria dell'epoca. La resa anatomica è perfetta, e colpiscono alcuni incredibili dettagli quali la muscolatura del cavallo e le sue narici frementi. Incredibili anche i dettagli della tunica dell’imperatore. Come spesso avviene nell’arte romana, non si vuole ritrarre la bellezza ideale ma mostrare Marco Aurelio così com’è.

L’imperatore viene raffigurato col braccio teso. Tale gesto potrebbe essere inteso come un atto di clemenza: in effetti, alcuni scritti medioevali parlano di un prigioniero barbaro ai piedi della statua, che a noi, però, non è pervenuto. Bisogna comunque dire che il barbaro ai piedi della statua imperiale sia spesso un simbolo ‘standardizzato’ dell’arte romana, che simboleggia la vittoria della civiltà romana sui barbari che la sola figura dell’imperatore (e della sua famiglia) può garantire. Dunque, l’eventuale figura di barbaro potrebbe anche essere stata collocata semplicemente come ‘dettaglio secondario’, al di là di cosa la nostra statua volesse raffigurare e di cosa l’imperatore tenesse in mano.

Altrimenti, potrebbe essere immortalato nel momento in cui, dopo la vittoria, saluta i suoi soldati e/o popolo con gesto calmo e sicuro; forse in procinto di parlare (in tal caso sarebbe il classico segno dell’adlocutio). Comunque, il braccio destro teso verso l’alto si ritrova in molti altri ritratti dell’imperatore. E va ricordato come esso sia riscontrabile in molti ritratti di Augusto.

Data l’assenza di armi e riferimenti alla guerra ed alla serenità che caratterizza la statua è anche possibile che essa voglia celebrare un’epoca di pace e di prosperità legata al suo regno.

In effetti, è possibile che nella mano vi fosse originariamente un rotolo di pergamena, poi perduto. È però anche possibile che, con la suddetta mano tenesse semplicemente le briglie del cavallo.

Quello che è certo è che l’imperatore sia rappresentato non come un terribile guerriero ma come un uomo ragionevole, un servitore dello stato, razionale e guidato da saldi principi morali: il suo sguardo intenso e meditativo ed i gesti pacati gli conferiscono autorità. Si tratta di un monumento che intende richiamare tutto il popolo ai valori morali che reggono la civiltà di Roma. Si ricordi che egli fu un imperatore filosofo. Il primo grande imperatore filosofo dei romani, oltretutto affascinato seguace della filosofia stoica.

Secondo questa scuola filosofica la felicità per l'uomo risiede nel seguire il sentimento del dovere secondo la propria natura di essere razionale. In effetti, nei “Pensieri”, il suo diario spirituale, l'imperatore richiama a sé stesso quei principi morali che concepiscono la vita come arte del vivere, ossia pratica per compiere il proprio lavoro di uomo fortificando la parte più elevata dell'anima, l'intelligenza; in questo modo le cose esterne non toccano l'individuo permettendogli di servire gli uomini nel rispetto e nella verità.

L'espressione serena e concentrata del volto e il gesto calmo e autorevole rispondono esattamente a questi principi morali, che sono alla base dell'idea di imperatore come optimus princeps (ottimo sovrano) e dell'esercizio del potere come servizio fondato sulla virtù.

La statua rappresenta pertanto la grandezza morale, oltre che quasi divina dell’imperatore e del suo potere. 

 

La statua fu esposta al pubblico nel 176 d.C. Purtroppo non ci sono pervenute fonti scritte antiche che ne parlino. Anche la sua prima collocazione è ignota: È possibile che si trovasse nel Foro Romano oppure nella zona dell’attuale piazza Colonna dove anticamente sorgeva il tempio dinastico che circondava la Colonna Antonina.

Quel che è certo è che la statua fu collocata al Laterano nell’VIII secolo d.C. E ciò perché la si ritenne raffigurante l’imperatore Costantino, ossia il primo imperatore cristiano e colui che aveva costruito i primi grandi edifici di culto cristiani, primi tra tutti la Basilica Lateranense. Per questo motivo, insomma, la si chiamò “Caballus Constantini" cioè in latino medievale, il cavallo di Costantino. Ecco perché la statua si salvò dalla fusione, Eh sì, perché, come forse saprete, nel Medioevo c’era carenza di materiali nobili quali il bronzo e, oltretutto, dato che il paganesimo era stato ufficialmente vietato dai tempi dell’imperatore Teodosio (editti del 380 e 391-392), non ci si faceva davvero nessuno scrupolo o problema a ‘riciclare’ le statue e gli altri “beni culturali” pagani. E, nel caso delle statue bronzee, esse venivano fuse per poi riutilizzare il materiale per altri usi, primi tra essi per i primi pseudo-cannoni e per le campane. La semplice rivendita del materiale in quantità minori era lucrossisima!

La statua era situata dove oggi si trova l'obelisco Lateranense, all’interno della villa di Domizia Lucilla, la madre di Marco Aurelio, posizionata su un basamento all'interno di un tempio dedicato a Vesta ed alle Vestali.

Nel corso del X secolo la statua fu teatro di una “esibizione della giustizia”: sappiamo, infatti, che durante il pontificato di papa Giovanni XIII (965-972), quest’ultimo ordinò di appendere per i capelli al Cavallo di Costantino il cadavere del prefetto di Roma Pietro, reo di aver guidato una rivolta ed incarcerato il papa. Si credeva ovviamente che fosse la statua di Costantino.

Negli anni 1466-68 la statua fu al centro del primo restauro noto; si svolse durante il pontificato di Paolo II.

Fu poi spostata sul Campidoglio nel 1538 per ordine di papa Paolo III. E ciò perché sul colle era stata insediata l'autorità cittadina fin dal 1143 (i nomi scritti sotto la statua: Agvstinvs Trincivs, Iacobvs Bvcca Bella, Caesar De Magistris, erano gli assessori all'urbanistica del tempo, "Le porpore di Casa Farnese").

Il papa istituì anche una carica onorifica di “Custode del Cavallo“: essa veniva assegnata di volta in volta ad un nobile diverso. Egli, riceveva in cambio una retribuzione che non era però monetaria, bensì con elargizione di generi di varia natura.

Michelangelo nel 1539 la fece posizionare al centro della piazza così come si trova ancora oggi. Ed utilizzò, rimaneggiandolo, un antico basamento marmoreo (probabilmente proveniente dal Tempio dei Dioscuri: decorato con gli stemmi del Senato e quelli della famiglia Farnese, dalla quale proveniva il papa Paolo III (sei gigli in campo d'oro), esso presenta 3 iscrizioni.

La prima, situata sulla parte anteriore, così recita: “AUGUSTINUS TRINCIUS IACOBUS BUCCABELLA CAESAR DE MAGISTRIS CONSERVATORES CUR(AVERUNT)", ovvero “I Conservatori Agostino Trincio, Jacopo Boccabella, Cesare de Magistris curarono”.

La seconda, posta sulla parte destra (verso il palazzo dei Conservatori), imitando le iscrizioni di età romana, celebra l’imperatore: “IMP(ERATORI) CAESARI DIVI ANTONINI F(ILIO) DIVI HADRIANI NEPOTI DIVI TRAIANI PARTHICI PRONEPOTI DIVI NERVAE ABNEPOTI M(ARCO) AURELIO ANTONINO PIO AUG(USTO) GERM(ANICO) SARM(ATICO) PONT(IFICI) MAX(IMO) TRIB(UNICIA) POT(ESTATE) XXVII IMP(ERATORI) VI CO(N)S(ULI) III P(ATRI) P(ATRIAE) S(ENATUS) P(OPULUS) Q(UE) R(OMANUS)”, ovvero “All’imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Pio Augusto Germanico Sarmatico, Pontefice Massimo, figlio del Divo Antonino (Pio), nipote del Divo Adriano, pronipote del Divo Traiano Partico, figlio del pronipote Divo Nerva, insignito della 27° Potestà Tribunicia, Imperatore per la sesta volta, Console per la terza volta, Padre della Patria, il Senato ed il Popolo Romano”.

La terza, situata verso palazzo Nuovo, ricorda come il pontefice volle qui trasferire la statua dal Laterano: “PAULUS III PONT(IFEX) MAX(IMUS) STATUAM AENEAM EQUESTREM A S(ENATUS) P(OPULUS) Q(UE) R(OMANUS) M(ARCO) ANTONINO PIO ETIAM TUM VIVENTI STATUTAM VARIIS DEIN(DE) URBIS CASIB(US) EVERSAM ET A SYXTO IIII PONT(IFICE) MAX(IMO) AD LATERAN(ENSEM) BASILICAM REPOSITAM UT MEMORIAE OPT(IMI) PRINCIPIS CONSULERET PATRIAEQ(UE) DECORA ATQ(UE) ORNAMENTA RESTITUERET EX HUMILIORI LOCO IN AREAM CAPITOLINAM TRANSTULIT ATQ(UE) DICAVIT ANN(O) SAL(UTIS) MDXXXVIII”, ovvero “Paolo III Pontefice Massimo, innalzata la statua bronzea equestre dal Senato e dal Popolo Romano a Marco Antonino Pio ancora vivente e in seguito, per le vicende della città, abbattuta e dal sommo pontefice Sisto IV collocata presso la basilica lateranense affinché conservasse la memoria storica dell’ottimo imperatore e ripristinasse le glorie e gli ornamenti della patria romana, trasferì da un luogo più modesto nella piazza del Campidoglio e dedicò nell’Anno del Signore 1538”.

Nel 1834 la statua fu sottoposta ad un secondo restauro, a cura di Carlo Fea (al tempo, sovrintendente ai monumenti). In questa occasione venne praticata un'incisione nel cavallo per permettere il deflusso dell'acqua che si era infiltrata al suo interno che: essa, anche solo con il suo peso, poneva in serio pericolo la stabilità e l’integrità del monumento. Si procedette anche a rinforzare i sostegni corrosi dall'acqua e si fece colare del metallo nelle zampe del cavallo per fissarlo meglio alla base.

Nel 1912 la statua fu sottoposta ad un lavaggio interno ed esterno. Nel 1940, invece, durante la Seconda Guerra Mondiale, la statua fu smontata e posta in luogo sicuro per proteggerla da eventuali bombardamenti. Fu ricollocata nella piazza solo alla fine del conflitto.

Nel 1979 un attentato dinamitardo al vicino Palazzo Senatorio danneggiò il basamento marmoreo della statua. In occasione delle indagini e diagnosi susseguenti si riscontrarono la presenza di fessure sulle zampe del cavallo ed anche un grave processo di corrosione presente su tutta la superficie del bronzo, dovuto soprattutto all'inquinamento atmosferico.

Si comprese insomma la necessità del restauro. Esso fu effettuato nell'Istituto Centrale per il Restauro ed ebbe tempi molto lunghi: iniziato nel 1981, si concluse solo nel 1988-1990.

Si decise di non collocarla più in esterno. Al centro della piazza del Campidoglio si trova quindi una riproduzione realizzata con il laser e metodi all'avanguardia che però non rispetta l’imitazione della doratura ancora esistente sull’originale.

28 aprile 1996. Si colloca una copia provvisoria in resina bianca in attesa di quella definitiva

L’originale è custodita nei Musei Capitolini.

 

Per concludere degnamente, va assolutamente raccontata una delle ‘leggende’ più particolari della Città Eterna. Quella connessa con la doratura della statua. Come abbiamo già detto, la statua originariamente era in bronzo dorato, mentre oggi rimangono solo poche tracce di esso sia sul cavallo sia sul cavaliere. Bene, la leggenda racconta che quando tutto l'oro sarà riapparso, allora canterà la "civetta". Ma quale civetta? Che c’entra la civetta? Possibile che non l’abbiamo notata nella statua? Tranquilli, non siete stati distratti non vedendola; stiamo in effetti parlando di una ‘civetta stilizzata’: più precisamente quella ‘simulata’ dal ciuffo di peli che si trova tra le orecchie del cavallo! Il ciuffo della criniera! Eccola, dunque, la civetta! Sarà proprio lei, un giorno, a cantare per annunziare la fine del mondo e l’inizio del Giudizio Universale! Se, quindi, un giorno sentirete qualche romano opporsi alla proposta di ridorare nuovamente la statua…saprete perché!

Da ciò deriva il modo di dire – in realtà ormai quasi più per nulla usato – “scoprì in oro come Marcurelio”, ovvero “essere alla fine”.