Necropoli di Porto

La Necropoli di Porto all'Isola Sacra (Fiumicino) è uno dei luoghi e più suggestivi (e meno conosciuti) dei dintorni di Roma. Un luogo magico, fuori dal tempo. Un luogo dove è possibile respirare aria di antichità e farsi compiutamente un'idea di come dovesse apparire un cimitero antico e di come si svolgessero i riti funebri.

Sembra quasi un set cinematografico di Cinecittà....ed, invece, è tutto vero! Tipico esempio di come a Roma la realtà superi – e di tanto! – l’immaginazione! È splendido, è suggestivo. È un cimitero ma qui non c’è niente di triste o di lugubre o spaventoso. Qui tutto è sereno e bello.

Infatti, come in tutti i cimiteri antichi, il luogo non è mai 'triste' o comunque non lo è del tutto! Le tombe trasmettono serenità e tranquillità; le tombe ‘parlano’, e – oltre a ricordare di essere di proprietà privata ed inviolabili – raccontano soprattutto la vita dei defunti...ma lo fanno mostrandoceli vivi, raccontando del loro lavoro, delle loro passioni, del loro amore per i familiari, per gli amici…per la vita! E le decorazioni, come detto, sono serene, esprimono serenità e voglia di pace e serenità!

E poi, qui a Porto (Fiumicino), a rendere il luogo ancora più bello e suggestivo è soprattutto la natura! La magica natura del litorale romano. Tra la vegetazione spicca come sempre la stupenda presenza dei pini! E soprattutto dei pini marittimi! Ma anche i cipressi e la macchia mediterranea!

Tra le tante tombe c'è una davvero particolare: la tomba a mini-piramide! Appartiene al pittore Anneo Attico. È costituita da laterizi, e su uno dei lati riporta l'iscrizione con il nome del defunto, la sua origine – la Gallia – e la sua età al momento della morte: 36 anni. Cosa comune nelle tombe romane.

Altra tomba particolare è la tomba 43 dove si raffigura (in maniera realistica) il grande faro del molo di Porto (l’odierna Fiumicino). Si vedono due navi avvicinarsi ad esso e l’iscrizione dice: “ode pausilypos” (“qui (è) la cessazione di ogni dolore”). Allude probabilmente all’aldilà che è un approdo sicuro e in un luogo finalmente tranquillo, dopo le tribolazioni e le “tempeste” della vita!

In questa tomba si nota un diverso atteggiamento rispetto alla morte rispetto alla grande maggioranza delle altre: non si ricordano le pene per chi trasgredisce leggi o profana la tomba con rispettive multe…ma su confida nella pace che si godrà nell’aldilà!

 

La necropoli di Portus fu riportata alla luce tra 1925 e 1940 (con successivi scavi e studi tra 1973-82 e 88-89) ed ha tombe che risalgono ad epoche diverse, comprese fra la fine sec. I ed III d.C. e con modeste trasformazioni e riutilizzazioni del IV secolo.

Sorgeva lungo la strada che collegava Ostia ai nuovi moli di «Portus» (l’antica Fiumicino), nel territorio chiamato, anticamente ed ancora oggi, Isola Sacra: si tratta dell’isola che venne a crearsi quando l’imperatore Traiano costruì un canale artificiale che funzionava come ‘sfogo’ aggiuntivo per le acque del Tevere. L’Isola sacra, pertanto, è separata da Ostia dal suddetto canale. La via proseguiva poi, oltre Porto, fino a raggiungere Terracina ed era detta anche via Severiana. Questa via era costiera: oggi il mare si trova a circa 2 km per via dei sedimenti progressivamente portati dal fiume Tevere nel corso dei secoli; ma anticamente la costa era vicinissima! Si trovava vicinissima a queste tombe! Oggi le tombe si conservano quasi esclusivamente lungo il lato sinistro della via.

È importante sottolineare che questa non era la necropoli principale di Porto: essa sorgeva, invece, lungo la ben più importante via Portuense (che collegava Portus con Roma). Li, però, ci sono stati solo pochi e casuali ritrovamenti.

Come è noto, nella Roma antica le sepolture dovevano obbligatoriamente trovarsi fuori dalle mura dei centri abitati ed, infatti, anche questa si trovava fuori le mura. E, come di consueto, anche questra si sviluppò lungo la via extraurbana e senza ordine preciso, senza controllo pubblico.

Altri esempi di necropoli simili sono la necropoli sotto la basilica di San Pietro, le tombe lungo la via Latina, sotto la Basilica di San Sebastiano (sull’Appia Antica), la necropoli della Via Triumphalis (Città del Vaticano).

Data la vicinanza della costa marina, si verificò presto il fenomeno di insabbiamento che provocò un rialzamento dei livelli. E ciò, unito alla volontà di rendere più visibili le tombe dalla strada, determinò la sovrapposizione degli edifici più antichi alle sepolture più antiche, che vennero inglobati. Inoltre, come spesso avviene nelle necropoli romane, si crearono più file di tombe sul retro. E qui si finì per occupare un po’ tutti gli spazi disponibili.

La via era originariamente sopraelevata e dotata di doppia carreggiata con, ai lati, marciapiedi in blocchi di tufo.

Le prime tombe edificate – cassoni semicilindirici in muratura – sorgevano irregolarmente lungo la via. Sono del I secolo d.C.

Dietro c’erano tombe a camera, dette anche a cella (sono di epoca adrianea, traianea, antonina), dotate talvolta di recinto frontale (spesso contemporaneo ma, a volte, aggiunto in epoche successive). Sorgono dunque blocchi di edifici non sempre coevi. Poi, nel III secolo, data la mancanza di spazio, si verificarono le obliterazioni sulle prime file dirimpetto la via.

In questa necropoli che ammiriamo oggi ci sono in totale circa 200 edifici sepolcrali che formano una sorta di “città dei morti”, simile a quella dei vivi: non a caso oggi le chiamiamo ‘necropoli’ anche se va detto che gli antichi non la chiamavano così! Sono evidenti, infatti, le analogie con le vere città: ci sono monumenti sepolcrali che hanno l’aspetto di ‘casette’ (con porte e finestre e tetti a capanna) e ci sono vie e vicoli per raggiungerle in quella che è una ‘città…dei morti’! Sopra alle porte delle tombe c’erano iscrizioni che erano come quelle delle case vere (lo approfondiremo più avanti).

Tra i sepolcri, la tipologia più evidente e comune è dunque quella della tomba a camera (si può chiamare anche a cella), ossia una cappella di famiglia: è la tipologia di tomba più costosa, dei più abbienti. Ma nella necropoli era presente – ed è tutt’ora visibile – anche uno strato sociale più povero, che seppelliva i propri morti nelle aree rimaste libere tra una cella e l'altra. Ci sono tombe a cassone (semicilindrico), ossia casse in muratura costruite direttamente sul terreno; in genere era per una sola persona e dotata di dispositivi per il rito di libagioni e con relative iscrizioni. Ci sono anche tombe a edicola. Altre tipologie di tomba erano quelle a cuspide di piramide, a pilastro, a edicola (cioé a tempietto).

Le tombe a cassone meritano un approfondimento dato che sono comuni, più che in Italia, in Africa ed in Spagna, regioni con le quali Ostia e Porto avevano intense relazioni. Queste tombe a cassone potevano accogliere corpi inumati o incinerati e potevano talvolta essere dotati di timpano ed iscrizione sulla fronte. In queste tombe le libagioni rituali (cioé la somministrazione di cibi e/o liquidi ai defunti) avveniva tramite un collo d’anfora inserito nel cassone.

I più poveri avevano tombe alla cappuccina (ossia semplici sepolture tarragne con sopra una copertura di tegole a doppio spiovente), sepolture in casse di legno o in terracotta, in olle o anfore (entro la metà di due anfore) o addirittura nella nuda terra. In quest’ultimo caso, la presenza della sepoltra era segnata da un’anfora posta in verticale: essa serviva anche per le libagioni. Questo tipo di sepoltura era soprattutto quella degli schiavi che non venivano mai deposti all’interno delle cappelle di famiglia, a differenza dei liberti.

Ma, come detto, la tipologia più comune delle tombe ancora esistenti e visibili è quella a cella (generalmente quadrata); tombe familiari – in fondo non molto diverse nello spirito dalle nostre odierne cappelle di famiglia – dotate di uno o due piani (ma, in genere, il piano superiore è poi scomparso). Sono le tombe di II secolo d.C. Il piano superiore si utilizzava generalmente per banchetti funebri ed altri riti e cerimonie. In quello inferiore si seppellivano i morti. Poteva esistere, sopra al secondo piano, sul tetto, una terrazza panoramica. Gli antichi romani li chiamavano “monumenti” (monumentum) o “sepolcri” (sepolcrum).

Queste celle avevano generalmente di fronte un recinto (che poteva essere aggiunto anche in un secondo momento) nei quali c’era il triclinio per i banchetti funebri ed anche supporti in muratura (sostegni di tavole addossati alla facciata). Ma c’era spesso anche un pozzo, un forno per la preparazione dei pasti rituali, uno sgabuzzino per conservazione oggetti per pulire e/o cucinare, ecc… Ma anche sepolture aggiuntive se all’interno del sepolcro lo spazio finiva. I triclini erano generalmente due (biclinia): due banconi in muratura, generalmente sui lati dell’ingresso che, a volte, venivano anche utilizzati (subito o in seguito) come sepolture. I triclini erano generalmente dotati di piano inclinato. Secondo la tradizione, dopo 9 giorni di lutto e per segnarne la fine, la famiglia consumava un banchetto funebre presso il luogo della sepoltura. L'importanza del pasto comune è sottolineata dalla frequente presenza, sia all'interno di tombe monumentali sia in connessione con semplici sepolture, di condotti libatori (colli di anfora o mattoni a sezione rettangolare, cavi).

Nelle tombe a camera/cella potevano trovare collocazione moltissimi membri della famiglia (anche 100 in alcuni casi) ed anche liberti, ossia schiavi liberati.

Nel II secolo d.C. si non si cremavano più i corpi dei familiari in una struttura ubicate all’interno del perimetro del sepolcro ma esistevano ustrinae pubbliche.

Approfondiamo ora la tipologia dei sepolcri a cella. Si decoravano spesso solo i lati frontali perché si dava per scontato che, prima o poi, si sarebbe addossato un altro edificio sepolcrale (esattamente come avviene per gli edifici residenziali, dell’antichità e di oggi). Per questo motivo, talvolta i lati dell’edificio erano realizzati in reticolato di tufo (che poteva talvolta venire intonacato) e solo la facciata veniva realizzata coi laterizi (lasciati a vista). Ma i più ricchi costruivano comunque, nonostante tutto, l’intero edificio in laterizi. Le decorazioni delle facciate potevano essere molto curate: proprio come in moltissimi edifice sepolcrali della stessa epoca a Roma e nell’Impero, c’erano accurate cortine laterizie a vista. Si utilizzavano mattoni sottili e spesso si giocava con l’uso coloristico dei mattoni – soprattutto nelle lesene e nei frontoni – spesso giocando con la bicromia giallo-rosso. Lesene gialle su paramento rosso e viceversa. Sottilissimi erano gli strati di malta e questa spesso si disponeva con virtuosismo artistico.

Il timpano triangolare mascherava la copertura a botte interna e rafforzava la somiglianza tra la tomba e la casa. Nel timpano (o nei pressi di esso), sopra la porta d’accesso, c’era spesso un’iscrizione che riportava il nome del proprietario. Questa era talvolta incorniciata da cornice (che poteva essere anche molto curata) che poteva spesso essere l’elemento di maggiore impegno artistico di tutta la tomba (almeno per quanto riguarda l’esterno di esso). Le facciate potevano essere decorate anche da inserti in travertino. C’erano spesso – sulla facciata o nel recinto esterno – rilievi in terracotta (in stile popolare-plebeo, molto efficace ed immediato nel trasmettere il senso della scena) nelle quali c’erano scene di mestiere del defunto o della famiglia. Abbiamo, ad esempio, l'ostetrica che assiste al parto, il chirurgo nell'atto di operare, il fabbro nella sua officina, il commerciante di grano, ecc. Grazie a queste vivaci rappresentazioni possiamo capire molto sulla vita della popolazione locale in quest’epoca così lontana.

Per i romani era importante lasciare traccia del proprio lavoro e di ciò che si era fatto in vita! Perché per i romani il lavoro, così come i lineamenti del viso ed il nome, era rappresentativo dell’identità individuale! Questo era per i romani qualcosa di assolutamente sacro! Ed i romani volevano che tutto ciò durasse in seguito e fosse ricordato dai posteri!

Spesso sulla facciata si conservano iscrizioni in latino o in greco (quelle in greco non sono tante quanto ci si potrebbe aspettare, dato che qui vivevano molti si madrelingua greca, liberti o immigrati che fossero) che riportano il nome del proprietario ma anche altre interessanti e prezione informazioni: ad esempio, le dimensioni della tomba (la formula era quasi sempre: “in fronte pedes XII, in agro pedes XXV”), il loro ceto sociale, le disposizioni testamentarie e le norme d'uso del sepolcro. Spesso c’erano semplicemente le iniziali della frase “hoc monumentum heredem externum non sequetur” (“Questa tomba non passerà ad erede estraneo”). E talvolta si scrivevano anche le pene in caso di trasgressione, coi proventi che potevano anche andare destinate ad opera pubbliche a Ostia o Porto. Da esse ricaviamo moltissime informazioni riguardo la società di Portus che era caratterizzata soprattutto da un ceto medio di piccoli commercianti, artigiani, modesti imprenditori, “professionisti” (medici, ad esempio), liberti (schiavi liberati). A Porto, molto più che nella ‘gemella’ Ostia, predominava l’aspetto produttivo e commerciale. Ma non dobbiamo dimenticare che questa necropoli della via Flavia-Severiana era una ‘minore’: i personaggi e le famiglie più importanti e ricche di Porto avevano le loro tombe – certamente di livello maggiore rispetto a queste – lungo la via Portuense. Tutto ciò per prevenire abusi edilizi e di uso, invasioni da parte di altri; cose che, evidentemente, avvenivano anche a quei tempi!

Le iscrizioni purtroppo non forniscono molti dati per ricostruire le loro credenze sull’aldilà.

Questo ceto medio che realizzò queste tombe aveva raggiunto uno status economico sufficiente non solo per erigersi tombe decorose, e in qualche caso raffinate, ma anche per procurarsi un notevole numero di schiavi e quindi di liberti: lo prova la tipica formula libertis libertabusque suis posterisque eorum (« ai propri liberti e liberte e ai loro discendenti »), che, nelle epigrafi, indicava i destinatari della tomba, naturalmente dopo il proprietario e i suoi familiari.

A volte i sepolcri venivano venduti oppure venivano ‘alienate’ alcune parti di esso. Non sempre a fronte di un pagamento in denaro; a volte anche solo per amicizia. Nella tomba di Valeria Trophime, nel recinto, si costruirono quattro piccole tombe a camera per estranei, che avevano pagato. Nella tomba di Aulo Gabinio Adietto egli permise che venisse sepolto Lucio Cacio Volusiano, figlio del suo migliore amico Primitiviano e di sua moglie Volusia.

Nel II secolo d.C. – epoca alla quale risalgono le “tombe di famiglia” – si praticava rito funerario prevalentemente misto: dunque, sia sepolture a incinerazione, sia ad inumazione. All’interno della stessa cappella funeraria è dunque possibile trovarle entrambe. In ogni caso, la tipologia sepolcrale (incinerazione o inumazione) non influisce sull’aspetto esterno dell’edificio sepolcrale, che infatti è sempre uguale esternamente. All’interno, invece, la presenza di inumazioni comporta la loro collocazione in basso.

Sulle pareti c’erano, su più livelli, filari di nicchie per le urne cinerarie (in genere in terracotta; solo i ricchi potevano permettersi urne o altari marmorei): generalmente c’erano due urne per nicchia. Le urne potevano arrivare ad essere anche 100 o più. Oggi non vediamo però quasi mai le urne vere e proprie: sono infatti nascoste dai muri. Le urne, infatti, venivano murate sui lati e sulla sommità l’unica apertura era quella circolare per permettere le libagioni.

Nella parte bassa delle pareti potevano aprirsi degli arcosoli dove all’interno si ponevano i sarcofagi (arca), che potevano essere di terracotta o di marmo (a volte i defunti si seppellivano li anche senza sarcofago). Il tutto veniva poi murato. I defunti potevano essere sepolti anche sotto al pavimento – anche a più strati. In questo caso si parla di formae. Cioé tombe a fossa con spallette in muratura. Talvolta, sin dalla costruzione originaria dell’edificio sepolcrale erano previste inumazioni sovrapposte su più livelli. Così si ovviava al problema della mancanza di spazio, che l’inumazione inevitabilmente porta. La tomba 34 ha addirittura, sotto al pavimento del cortile, 150 formae su più livelli. Si ipotizza che esso appartenesse ad un collegium funeraticum, o comunque ad una associazione che provvedeva alla sepoltura dei membri.

Quando lo spazio finiva talvolta si alterava il disegno originario si aggiungevano altri filari di nicchie. Se fuori, davanti all’edificio sepolcrale, era presente il cortiletto, si potevano creare nuove sepolture lì.

I due riti sepolcrali dipendevano da scelte individuali delle singole persone. Prima dell’età traianea generalmente i corpi venivano incinerati. In seguito le due forme convissero. E dal III secolo l’inumazione diventò prevalente, probabilmente per influsso delle religioni orientali. Con l’avvento del cristianesimo l’inumazione diventerà canonica: si credeva, infatti, che nell’ultimo giorno l’uomo sarebbe risorto anima e corpo. Nella necropoli di Porto l’incinerazione è comunque prevalente. È anche vero, però, che in alcune tombe di Porto le nicchie furono distrutte per far posto agli arcosoli e, a partire dagli inizi del III secolo, le tombe nuove furono progettate per la sola inumazione.

Le porte generalmente si aprivano verso l’interno, col cardine a destra, con sistema di chiusura. Avevano battenti di legno con eventuale lamina di piombo con chiodi e intelaiatura di ferro.

Gli interni non erano luminosi, tutt’altro: non c’erano vere e proprie finestre ma feritoie dalle quali entrava ben poca luce. Generalmente le finestre stavano nella parte alta della facciata, spesso ai due lati dell’iscrizione centrale. Esse garantivano, oltre alla discreta illuminazione delle tombe, anche l’areazione del sepolcro. Quasi mai erano dotate di lastre di vetro. A volte le finestre stavano anche sui lati della costruzione. All’interno, comunque, c’erano spesso…i “lumini”! Proprio come nelle nostre tombe. Erano quasi sempre lucerne, come quelle usate nelle case dei vivi. Queste lucerne potevano ardere sempre o magari solo in alcuni giorni della settimana dell’anno o della settimana (a seconda delle volontà testamentarie o della famiglia ancora vivente). Alle calende, alle none, alle Idi. Le lucerne si collocavano sopra i sarcofagi o sul piano delle nicchie per le urne funerarie. L’olio usato era quello d’oliva.

Gli interni sono generalmente impreziositi da decorazioni pittoriche, musive o in stucco. Le decorazioni generalmente scandiscono le partizioni delle pareti ma, a volte, anche le nicchie per le urne ed altro. Qui dentro si raffiguravano spesso menadi danzanti o altri personaggi legati a Dioniso, tipicamente presente nei contesti funerari, dato che si credeva che potesse regalare una nuova vita nell’aldilà. Anche i soffitti sono spesso decorati da dipinti e/o stucchi. Molto comuni in questo tipo di edifici funerari sono soprattutto le decorazioni floreali – fiori liberi o ghirlande – soprattutto rose e viole (che sono i ‘fiori tradizionali’ dei morti per gli antichi romani). Le violette si portavano sulle tombe nel giorno della “festa delle viole” a marzo ed aprile. “Le viole color porpora indicano la morte, perché il colore porpora ha una certa affinità con la morte” (Artemidoro, Interpretazione dei sogni 1, 77). Nei poemi omerici si definisce ‘purpureo’ il sangue versato dai guerrieri in guerra.

Nelle decorazioni e nelle iscrizioni non c’è spazio per la tristezza. Non si piange la morte né si rimpiange la vita trascorsa: tutto trasmette serenità e tranquillità.

Spesso compaiono colombe e pavoni, tipici simboli in contesti funerari. Alcuni studiosi si sono chiesti se queste raffigurazioni fossero richiesti dai committenti con piena consapevolezza – che qui non erano sempre di elevate cultura e ricchezza – dato che questi uccelli erano anche comunemente usati come semplice soggetti decorativi. Gli uccelli simboleggiano l’anima del defunto ma potevano anche semplicemente evocare la serenità del loro canto o dell’aldilà. Il pavone ha la carne durissima che pertanto impiegava moltissimo tempo ad imputridire. Inoltre, perde le piume ma le riacquisisce in primavera. Due caratteristiche che lo elevano a simbolo di vita eterna e rinascita. In generale, gli uccelli (ed anche fiori ed animali in genere) trasmettono idea e sensazione di tranquillità e serenità ai defunti ed ai vivi che li vengono a trovare.

Le decorazioni in stucco ricordano spesso le fronti dei ninfei o delle scene teatrali, con alternanza di nicchie rettangolari e semicircolari, impreziosite da pilastrini e semicolonne e, sopra, da timpani.

Nelle tombe ci sono anche raffigurazioni mitologiche, che simboleggiano e sublimano la morte. Ad esempio, Prosperpina, Orfeo, Alcesti riportata in vita da Ercole. Paesaggi ameni e tranquilli, rimando alla pace nell’aldilà. Scene di caccia e, più raramente, scene che direttamente alludono al destino finale e al ciclo delle stagioni.

Le decorazioni – così come le iscrizioni sulle facciate dei sepolcri – non sono molto di aiuto per capire le credenze dei defunti e le loro credenze sull’aldilà. Nonostante qualche eccezione, in generale, prevale l’ornamentazione di carattere decorativo e di prestigio piuttosto che di simbolico-religioso. Come già accennato, dato il livello non elevato di cultura e raffinatezza dei committenti di queste tombe, alcuni studiosi hanno posto il dubbio riguardo l’effettiva consapevolezza sulle simbologie. Erano magari motivi scelti perchè molto diffusi ma che loro chiedevano senza conoscere pienamente il significato. Anche noi oggi abbiamo in casa – e nei cimiteri! – simboli che ci sono noti…ma che non conosciamo davvero pienamente! Caso emblematico è quello della tomba 43, con la raffigurazione realistica del faro di Porto, con le navi che attraccano: sicuro approdo nell’aldilà con la pace dopo le tribolazioni e tempeste della vita? O semplice rimando al lavoro del defunto?

I pavimenti sono talvolta decorati a mosaico. Ed anche lo spazio antistante l’edificio funerario poteva essere decorato da mosaico. Generalmente con tessere bianco e nero e con motivi geometrici oppure floreali. Raramente abbiamo mosaici figurati e di grande impegno/valore. (Solo la tomba detta “della Mietitura” rappresenta, oltre appunto alle scene di lavorazione stagionale del grano, anche scene del mito di Admeto ed Alcesti. E poi il mosaico del faro). Nel caso dei mosaici all’interno del sepolcro, essi spesso coprono le sepolture che sono sotto terra. Talvolta I mosaici venivano distrutti o danneggiati o modificati/sostituiti già nell’antichità, in seguito alla realizzazione delle nuove sepolture.

Ci sono spesso buchi nei pavimenti: si usavano per le libagioni rituali (dunque, come già detto, per versarvi cibi e bevande – ma anche profumi, fiori – e fare banchetto insieme ai morti. Sotto c’era direttamente il defunto oppure la libagione arrivava tramite tubi (in terracotta o piombo).

Scarsi i corredi funerari rinvenuti per lo più in sepolture individuali: piccoli oggetti di ornamento personale, monete, balsamari di vetro, e lucerne. Caratteristici e frequenti in relazione agli apprestamenti per i banchetti sono, invece, i ritrovamenti di piccoli vasi a forma di piattelli e bruciaprofumi fittili (terracotta).

 

La collezione antropologica

I resti scheletrici umani rinvenuti nella necropoli sono stati importantissimi per lo studio antropologico dell’età classica dell'Europa mediterranea. Sono stati studiati dalla sezione di Antropologia del Museo Nazionale Preistorico Etnografico "L. Pigorini".

Lo studio ha riguardato 2000 individui di cui il 35% di età sub-adulta (minore o uguale a 15 anni), tra questi in migliori condizioni di conservazione per l'uso di deporre gli infanti in anfore il maggior numero di decessi avveniva entro il primo e secondo anno di vita per poi ridursi nel corso dei successivi.

Le donne mettevano al mondo in media 6 figli; la mortalità da parto in età romana era ridotta rispetto al primo millennio a. C. per la maggiore diffusione delle pratiche di intervento ostetrico. Nei bambini avveniva un notevole arricchimento nella qualità della dieta già entro il primo anno di vita, mentre la pratica dell'allattamento al seno si esauriva normalmente entro il secondo.

Sempre nella prima età infantile si registra un marcato ritardo nell'accrescimento scheletrico a causa, probabilmente, della cronica diffusione di agenti infettivi. Tra gli adulti meno del 10% superava i 50 anni; l'analisi paleodemografica indica che l'aspettativa di vita era di circa 23 anni. La statura media maschile negli adulti non superava i 164 cm., quella femminile era di circa 152 cm.