Monumenti e luoghi di interesse di Monterano

Dal 1799 gli edifici di Monterano giacciono in uno stato di rovina che conferisce al luogo un grande fascino.

 

ACQUEDOTTO

L’acquedotto venne realizzato negli anni immediatamente successivi al 1671, anno di acquisto del feudo di Monterano da parte degli Altieri. Era, si può dire, una delle realizzazioni principali del loro progetto di rinnovamento del borgo e soprattutto del miglioramento del tenore di vita, anche e soprattutto per la popolazione. 

L'acquedotto captava l’acqua del fiume Mignone nei pressi del feudo di Oriolo e, sfruttando la naturale pendenza, la trasportava fino a Monterano. Il percorso era totalmente sotterraneo e, nel suo tratto terminale, attraversava le colline ad est del borgo e solo appena prima del borgo emergeva in superficie, scavalcando la valletta ai piedi del palazzo ducale con un'imponente struttura a doppie arcate ancora in ottimo stato di conservazione.

Questa valletta, che isola la sommità del pianoro di Monterano, e rende soprattutto più difendibile sulla sommità il castello, fu probabilmente creato in età etrusca, per renderlo più facilmente difendibile. In effetti, sono qui presenti, scavate nel profilo della collina ad est di Monterano, alcune tombe etrusche, successivamente rimaneggiate.

Nella parete che fronteggia l’altura di Monterano è presente anche il fontanile delle Cannelle, importante luogo di ristoro per viaggiatori, viandanti, i loro cavalli o altri animali. È preceduto da un’area pavimentata con laterizi e nei pressi sono presenti anche alcune vasche, utilizzate forse come lavatoio, e un abbeveratoio.

L’acquedotto è stato recentemente restaurato dalla Provincia di Roma

Viene naturale chiedersi come si facesse prima della realizzazione dell’acquedotto: ecco come, con le cisterne! Pratica comune di un tempo, qui, come anche in altre zone del centro Italia caratterizzate dalla presenza del tufo, le cisterne erano spesso ricavate direttamente nel terreno tufaceo! Molte di queste sono visibili ancora oggi, spesso proprio presso l’ingresso delle abitazioni! Presentano un ampio imbocco di forma circolare destinato almeno per alcune di esse alla raccolta dell'acqua piovana.

Altra tipica e diffusa pratica di l'approvvigionamento idrico era poi quello offerto dai corsi d'acqua e, come abbiamo visto, questa zona ne è ricchissima! L’acqua veniva, pertanto, attinta da questi e soprattutto dal fiume Mignone.

 

IL CIRCUITO MURARIO

Le mura sono abbastanza ben conservate nella zona sud. Sono davvero magnifiche, anche perchè si trovano ‘rialzate’, essendo il borgo costruito sulla sommità della collina.

Ad est era la porta Romana, la via più rapida per entrare nell'abitato per chi proveniva da Roma. Ovviamente si arrivava da Roma tramite la via Clodia (e, volendo ma ovviamente con un percorso più lungo, tramite la via Cassia). Questa porta era protetta dalla mole del castello.

La porta che oggi meglio si conserva ed emoziona è quella sud, detta Gradella o Cretella, Date le buone condizioni di conservazione, si ha addirittura la possibilità di farsi ancora un’idea di come funzionasse. La rende davvero suggestiva la vista che si gode da essa sulla vegetazione circostante e sottostante e, soprattutto, la presenza di fronte ad essa, all’esterno delle mura, di una strada pedonale lastricata con basoli romani (probabilmente di spoglio), che collegava la cittadina principalmente con il fosso del Bicione e le miniere di zolfo.

A ovest c’è invece la porta di San Bonaventura, della quale, purtroppo, si conserva poco. Essa metteva in comunicazione l'abitato con il convento omonimo, progettato dal Bernini e sito sul pianoro, subito all'esterno delle mura.

Porta San Bonaventura era usata come porta principale del borgo, raggiungibile dalle due strade che cingevano a ferro di cavallo la rocca.

 

PALAZZO DUCALE O CASTELLO ORSINI-ALTIERI

Il palazzo ducale è senz’altro l'edificio più imponente del borgo, eretto in posizione dominante nella parte settentrionale dell'abitato. Domina anche Porta Romana, assicurandone un’ulteriore protezione.

Alcune indagini ed analisi architettoniche hanno supposto la presenza in questo sito dell'originaria Cattedrale di Santa Maria Assunta con murature e arredi risalenti all'età carolingia Era un'aula di 18x12 m. Altri studi, invece, teorizzano che essa sia sempre stata dove oggi c’è la cattedrale di S. Maria Assunta.

Il nucleo sicuro più antico del castello è l’alta e massiccia torre in muratura a pianta quadrangolare rettangolare con basamento a scarpa, avente funzione difensiva. Fu costruita in più fasi, a partire dalla fine del XII-inizi XIII secolo e poi anche nel XIII e fino al XIV secolo. La datazione si basa sull’osservazione delle tecniche costruttive: utilizzo di blocchi di tufo squadrati e regolari. La torre, ancora ben visibile e riconoscibile sul lato orientale del castello, vicino alla più tarda scalinata di accesso, si innalza nel punto più elevato dello sperone tufaceo.

Tra XIII e XIV secolo a questa torre si saldò un recinto di mura, andando probabilmente a creare il primo nucleo della vera e propria rocca. La torre originaria diventò di fatto, il mastio.

Alla fine del Quattrocento la cortina muraria fu rifatta ed ulteriormente rinforzata e, sul lato est, furono aggiunte due torri cilindriche, particolarmente adatte a resistere alle armi da fuoco (che nel frattempo erano state migliorate di efficacia e resero necessaria l’aggiornamento delle difese della rocca – clicca qui se vuoi scoprire l’evoluzione delle armi da fuoco nel Medioevo-Rinascimento e la parallela evoluzione delle mura difensive). Questi lavori di rimaneggiamento si devono presumibilmente ai lavori di ristrutturazione avviati dalla famiglia Orsini. In effetti, si nota una particolare somiglianza con le strutture nel più famoso castello di Bracciano, degli stessi proprietari. Peraltro, gli Orsini trasformarono in questo stesso periodo l’edificio in un palazzo signorile, mentre prima era stato essenzialmente esclusivamente difensivo. Comunque, i lavori che resero il palazzo signorile vennero effettuati soprattutto fra XVI e XVII secolo.

Tale trasformazione vede il suo culmine a partire dal 1671, quando il feudo, prima definito castrum exiguum et angustum, diviene proprietà della famiglia Altieri: la casata affida il progetto di rinnovamento e riqualificazione, particolarmente evidente nella facciata, a Carlo Fontana, allievo di Gian Lorenzo Bernini. I lavori sono avviati nel 1672, inizialmente sotto la direzione di Carlo Fontana.

La facciata principale del palazzo ,che domina la sottostante piazza (Piazza Lunga), viene modificata, aprendo un loggiato a 6 arcate che funziona da raccordo per i diversi corpi di fabbrica (le due torri preesistenti) e allo stesso tempo maschera le forme austere delle strutture precedenti.

A coronare questa intelligente trovata c’è anche un artificio prospettico:  le aperture sfalsate del loggiato rispetto a quelle già esistenti, che conferiscono alla balconata una maggior profondità.

Il loggiato venne creato con pezzame di tufo sbozzato e non intonacato, in continuità e ad imitazione del vicino acquedotto, di cui la sottostante fontana, enfatizzandone il punto d'arrivo, funziona da "mostra d'acqua".

Una rappresentazione del palazzo è in un dipinto del 1781 di G. Barbieri nel palazzo Altieri di Oriolo.

Soprattutto la facciata viene impreziosita di scenografica fontana che sfrutta lo sperone di roccia sul quale sorge l’edificio. Lasciandole a vista (e lavorandone ad arte e soprattutto col non-finito alcune), Bernini poté utilizzarle come parte integrante della sua fontana, creando una magnifica cascata! Una cascata artificiale, eppure, nel contempo, naturalistica! È lo stesso effetto che si ritrova nella fontana di Trevi e dei Quattro Fiumi di Roma ed in questo caso di Monterano l’effetto doveva essere davvero grandioso! Ancora oggi, pur essendo il tutto in stato di rovina, si rimane colpiti! Le rocce ‘rustiche’ sono, in fondo, un elemento caratteristico dello stile di Bernini: le ritroviamo, come detto, negli esempi più famosi, nella Fontana di Trevi (che, si ricordi, ebbe il primissimo progetto eseguito dal nostro grande architetto), nella Fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona, così come nel Palazzo di Montecitorio. Sono, in fondo, tutti esempi di “fontana naturalistica”, molto cara al grande architetto. (“naturalizzazione della fontana”)

In effetti, Bernini riteneva che la natura fosse superiore all’arte e che, pertanto, essa non andasse imitata ma rappresentata. Le rocce vengono pertanto lasciate allo stato naturale o solo abbozzate e vengono combinate con l’acqua.

In ogni caso è interessante notare come negli esempi citati, così come nel Palazzo Ducale di Monterano, Bernini ‘inventi’ una sorta di “architettura naturalistica”, quasi un prodromo di “architettura organica” novecentesca, precorrendo Lloyd Wright! “Io sono molto amico delle acque: esse fanno molto bene al mio spirito"!

L’acqua scaturiva in prossimità della statua del leone. Geniale, scenografico e d’effetto tipicamente beniniano è l’invenzione della statua del leone che, percuotendo la roccia con le zampe, faceva sgorgare l’acqua (oggi è presente una copia; l’originale è oggi conservato nell’atrio del palazzo comunale di Canale Monterano). Un esempio analogo lo vediamo a Villa d’Este di Tivoli, nella Fontana di Pegaso.

L'acqua, dopo essere passata attraverso le rocce strapiombanti, veniva quindi convogliata in una vasca formata da massi di forma di scoglio.

Possiamo ben dire che in questa nuova facciata del Palazzo Altieri si combinano alla perfezione tutti gli elementi cari al modello berniniano del palazzo-scogliera-fontana, con il valore aggiunto fornito dalla viva roccia e dall'inserimento del leone, simbolo insieme allegorico e araldico.

 Nel 1785 Giuseppe Barberi la definisce "capricciosissima fontana”.

Una rappresentazione del palazzo è in un dipinto del 1781 di G. Barbieri nel palazzo Altieri di Oriolo.

 

CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA

Fu probabilmente edificata nel XII secolo. Alcuni studi hanno ritenuto possibile che sia esistito nel medesimo sito un altro edificio di culto precedente ma non è stato possibile confermarlo. Nessuna evidenza archeologica, nessuna struttura databile anteriormente è stata trovata per avvalorare questa teoria.

In effetti, alcuni studi hanno identificato nella parrocchiale di Santa Maria Assunta la Ecclesia Sancte Dei Genitricis Semperque Virginis Mariae sita Manturiano che viene citata nel Liber Pontificalis (la raccolta ufficiale della Chiesa di biografie papali), in relazione al Papa Stefano V (885-897). Si trattava, ai tempi, della cattedrale, che era connessa alla nascita della sede vescovile di Monterano (che ebbe in età altomedievale).

Però, come detto, nel sito di S. Maria Assunta non sono al momento state trovate strutture pertinenti a fasi costruttive anteriori al XIII-XIV secolo. È interessante, invece, sottolineare che sono stati trovati all’interno del castello indizi che farebbero pensare che l’originaria cattedrale dovesse trovarsi in quel sito. Infatti, l’analisi delle murature del castello ha messo in luce, al suo interno, strutture databili all’VIII-IX secolo. Queste ultime costituiscono un ambiente rettangolare in cui riconoscere, con ogni probabilità, la navata centrale della più antica chiesa di Monterano citata nei documenti, inglobata poi dalle fasi murarie successive.

Torniamo ora a Santa Maria Assunta. Questa chiesa era, fino alla costruzione di quella dedicata a San Bonaventura, la più grande di Monterano. La sua facciata, ormai crollata, era rivolta verso la valle e doveva essere ben visibile per coloro che entravano a Monterano da Porta Cretella.

Oltre che dall'ingresso principale, preceduto da alcuni gradini, si poteva accedere alla chiesa anche da una porta laterale, raggiungibile dalla piazza, vicino al luogo in cui tutt'ora svetta l'alto e grande campanile (quasi 14 mt). La campana è attualmente conservata nel Palazzo Comunale di Canale Monterano: è ancora in buono stato di conservazione anche se, purtroppo, l’iscrizione in latino, presente nella sua parte non è più molto leggibile a causa di un vecchio e non molto accurato intervento di restauro.

Nel XVII secolo sappiamo che la chiesa era a navata unica e ospitava un altare maggiore coronato dall'arco trionfale, due cappelle ai lati di questo e altri due altari nelle pareti laterali.

 

CHIESA DI SAN ROCCO (XIV-XVII secolo)

Sorge su piazza Lunga ed è adiacente al palazzo ducale. Risale verosimilmente al XV secolo ma il suo aspetto attuale risale ad un rifacimento (o restauro) databile alla fine del XVII secolo. Si tratta di un edificio absidato a navata unica di cui si conserva l'abside con l'altare. Ai fianchi della navata si aprono due piccole cappelle laterali. Venne edificata probabilmente come voto in seguito ad una epidemia di peste, fra XIV e XV secolo.

Grazie ai documenti sappiamo che nella chiesa si officiava la messa solo nel giorno dedicato al santo (16 agosto) e veniamo anche a conoscenza di una vicenda alquanto particolare: vi si afferma che non solo "ne vi si esercita alcun atto di divozione, anzi, piuttosto serve a esercizio di atti indecenti e illeciti".

Questo è il motivo per il quale successivamente Angelo Altieri, nel 1677, richiede e ottiene l'autorizzazione a demolirla. L’intenzione è poi quella di utilizzare i cementi ricavati dall’operazione per la costruzione della chiesa e del convento di San Bonaventura, ma non è noto se questo proposito venne poi davvero portato a termine.

Alla metà del XVIII secolo la chiesa assume il titolo di Parrocchiale, e vi si continua ad officiare messa per i pochi fedeli rimasti a Manterano fino al 1819.

Abbiamo già accennato che la chiesa fu probabilmente costruita come voto dopo un’epidemia di peste. In effetti, tradizionalmente san Rocco è considerato il protettore dei malati di peste e, più in generale, dei viandanti e di tutti coloro che possono contrarre malattie nel corso del viaggio.

Il Santo si occupò infatti della cura degli appestati, finché non venne egli stesso contagiato. La leggenda vuole che, per non mettere a rischio altre persone, si trascinò fino ad una grotta e che, fino alla sua guarigione, un cane provvide a portargli ogni giorno un pezzo di pane. Per questo, nell'iconografia cristiana, San Rocco viene ritratto affiancato da un cane e con la veste alzata, mentre mostra un bubbone della peste sulla coscia.

Alla chiesa di San Rocco doveva essere annesso in principio anche un ospedale, come consuetudine per i luoghi di culto dedicati a questo Santo.

 

IL DEGRADO DELLE CHIESE DI MONTERANO

Dalle descrizioni fornite dalle Vite Pastorali sappiamo che la chiesa parrocchiale di Monterano di Santa Maria Assunta versava, fra XVII e XVIII secolo, in pessime condizioni, forse a causa delle infiltrazioni e risalite d’acqua (le chiesa si trova ad una quota più bassa rispetto al piano della piazza) e della vegetazione che ne copriva, allora come oggi, le murature esterne. I beni e gli arredi della chiesa sono sovente descritti come usurati e vecchi.

A poco servirono gli Interventi di ristrutturazione ad formam modernam commissionati dalla famiglia Altieri se nella seconda metà del secolo XVIII, è definita "antiqua Ecclesia” e al contempo si menziona la 'Parochialem sub invocatione S. Rocci” intendendo la perdita definitiva del ruolo di edificio di culto principale.

 

LA CHIESA DI SAN BONAVENTURA CON L'ANNESSO CONVENTO (1675-77)

Il complesso di San Bonaventura domina la spianata di Pizzinemi come una grandiosa quinta scenica, immaginata per sorprendere e stupire il viaggiatore che usciva da Porta san Bonaventura. Concezione tipicamente barocca e, come abbiamo visto, Monterano – pur nel suo piccolo – aveva davvero poco da invidiare ai grandi centri o comunque poteva considerarsi sullo stesso livello. Possiamo farci un’idea di come apparisse lo ‘scenario barocco’ in una delle vedute del feudi Altieri che decora la sala da pranzo del Palazzo di Oriolo Romano, opera di Giuseppe Barberi (datata 1781).

Chiesa e del convento furono costruiti tra il 1675 ed il 1677 e furono intitolati a San Bonaventura in onore del più illustre esponente del casato Altieri, cioè Emilio Bonaventura Altieri, Papa Clemente X. Il progetto del complesso si deve a Gian Lorenzo Bernini, mentre la realizzazione fu affidata al suo allievo Matthia de Rossi.

Sappiamo che nel 1675 de Rossi fornì ai capomastri “pianta e profilo" del progetto esecutivo, e che i lavori terminarono poi nel 1677, come rendeva noto l’iscrizione – ormai illeggibile – dipinta in facciata.

Nelle intenzioni, il tutto doveva essere inizialmente assegnato ai Padri Scolopi, che si impegnavano per contratto a “tenere Scuola, et insegnare con ogni carità, diligenza, e pazienza di giovani e fanciulli di detta Terra di Monterano”. Essi però non vennero mai ed alla fine il convento fu assegnato agli Agostiniani Scalzi (1690-1710), poi fino all'abbandono, alla congregazione del Servi di Maria (1710-1800).

La chiesa ha pianta centrale, a croce greca e l’interno si presenta armonico e vivace, in quanto movimentato da pilastri compositi e da una cornice modanata che poi scorre anche su tutte le pareti. I pilastri sostenevano la cupola – perduta – che era coronata da una lanterna.

Nell’abside doveva originariamente trovarsi l’altare maggiore, oggi scomparso. Altri due altari si trovavano nei bracci laterali della chiesa; da questi ambienti era possibile accedere a delle piccole cappelline laterali, anch’esse dotate di altari. Insomma, in totale gli altari erano sette: procedendo dall'abside in senso antiorario, erano dedicati a San Bonaventura, alla Madonna del Sette Dolori, Sant'Agostino, Sant'Antonio da Padova, San Filippo Benizi, San Michele Arcangelo e San Giuseppe.

Ciascun altare era corredato da una tela, posta sopra (ad esclusione della Madonna del Sette Dolori, a cui era dedicata una statua lignea); le tele erano collocate all’interno di cornici in stucco a malta. Al momento dell’abbandono queste opere vennero trasferite nella chiesa parrocchiale di Canale, Santa Maria Assunta in Cielo, dove se ne conserva una parte.

Il pavimento presenta ancora le formelle di cotto di forma quadrata e rettangolare: esse furono prodotte appositamente nella fornace di Canale. La differente cromia delle formelle, che varia dal giallo all’arancio-rosato al rosso, doveva conferire vivacità alla tessitura del pavimento. San Bonaventura, precocemente abbandonata, é forse l'unico esempio di chiesa berniniana che conserva l'originario pavimento in cotto.

Comunque, ciò che rende davvero unico questo interno è senza dubbio il magnifico albero di fico (Ficus carica L)! È molto anziano, dato che ha quasi 200 anni di età e probabilmente la sua nascita e crescita è stata aiutata dalla presenza della calce prodottasi dopo i crolli della chiesa abbandonata. Ha un fusto di quasi 3 metri di circonferenza, un altezza di 9 metri e una chioma di 8 metri di diametro. Per la sua età superiore alla media della specie, rientra tra gli alberi monumentali del Lazio. La pianta è diventata celebre soprattutto grazie al film “ Il Marchese del Grillo” di Mario Monicelli.

Alle spalle dell’abside della chiesa è il chiostro a tre lati porticati, facente parte dell’annesso convento. Sul chiostro affacciavano le celle del convento.

Splendida ancora oggi la facciata; e ancor di più lo era originariamente, come si può sempre vedere nel dipinto del Barbieri. Essa era movimentata da un corpo centrale leggermente aggettante (a mo’ di pronao), con frontone ornato da una graziosa finestra ovale. Il bellissimo portale era originariamente sormontato dagli stemmi gentilizi del Papa Clemente del Cardinal Paluzzo e del Principe Angelo Altieri. Ai due lati della facciata erano originariamente presenti due campanili gemelli, coperti con lastre di piombo, esattamente come la grande cupola della chiesa.

Questi due campanili ‘gemelli’ e laterali sono un elemento caratteristico del barocco romano e poi di quello del “barocco internazionale”, che si è ispirato a quello romano (si pensi alle chiese spagnole e alla cattedrale di S. Paul di Londra): A Roma il caso più importante è quello della celebre chiesa romana di S. Agnese in Agone. Ma campanili così erano soprattutto presenti – una volta – anche nella basilica di San Pietro e anche…nel Pantheon! E sempre si trattava di progetti del Bernini, anche se…non proprio fortunati! Eh sì, sono, in effetti, uno dei pochi casi di sostanziale insuccesso da parte del Bernini. Mentre quelli di San Pietro non vennero di fatto mai davvero completati – per via del sottosuolo fragile – quelli del Pantheon, invece, furono abbattuti alla fine del XIX secolo. Come forse saprete, quei campanili aggiunti al Pantheon non piacquero mai davvero al popolo romano, il quale affibbiò molto presto il nomignolo di “orecchie d’asino”!

A dirla tutta, comunque, il caso del Pantheon è quello che meglio si associa alla nostra bella chiesa di Monterano: infatti, lo schema compositivo costituito da pronao-timpano-campanili-cupola si ritrova integralmente!

In ogni caso, il modello della chiesa di San Bonaventura ebbe molta fortuna, e sarà ripreso, negli anni successivi in diverse fabbriche ecclesiastiche, influenzate dalla lezione del Bernini, sia a Roma che nel resto d’Italia.

Nello spazio antistante la facciata si trova la splendida fontana ottagonale, anch’essa progettata dal Bernini. Essa è posizionata in asse con l’ingresso principale della chiesa di S. Bonaventura, In realtà, quella presente oggi è una fedele copia; l’originale è stata trasferita a metà degli anni Cinquanta del Novecento nella Piazza del Campo a Canale Monterano. La peculiarità di questa fontana sta nel particolare gioco prospettico seconda cui, se la si osserva da lontano, sembra spostata di lato. Si tratta di un’efficace espediente per non ostruire la visuale della facciata della chiesa e, al tempo stesso, rendere lo spazio antistante più arioso. Al visitatore basterà spostarsi e cambiare prospettiva per sperimentare di persona!

 

Il CAVONE

Il cavone è una tagliata viaria etrusca scavata a mezzacosta lungo le pendici meridionali della collina, attualmente non percorribile a causa della caduta di massi dall'alto; la larghezza ridotta permetteva il solo transito di pedoni. Il sentiero che la attraversa proviene dalla Porta Gradella e scende fino alla valle sottostante solcata dal Fosso del Bicione. Ma cos’è una tagliata: clicca qui per scoprirlo!

Ci sono poi alcuni bastioni a nord dell’abitato, i resti dell’ingresso di una cantina e alcune case nei dintorni del palazzo.

 

SEPOLCRETO ETRUSCO 

 

TOMBE ROMANE AD ARCOSOLIO

 

LA CASCATA DELLA DIOSILLA

All'interno della Riserva Naturale Monterano si trova anche un importante geosito dove è possibile ammirare la cascata della Diosilla nota per il suggestivo colore dell’acqua che varia dal giallo ruggine, al blu, al bianco, per via della presenza dello zolfo in sospensione.

La cascata si trova presso il limite sudorientale della Riserva stessa, e per raggiungerla vi basterà seguire un sentiero indicato da tratteggi rossi.

Proseguendo nel percorso si costeggia il torrente Bicione ed, inoltrandosi nel fitto della vegetazione, il percorso si snoda tra suggestivi passaggi attraverso pareti di tufo e archi di roccia naturali.

Tutto intorno, il rigoglioso bosco di querce è caratterizzato dalla presenza di rare specie di felci.

Raggiunta una cavità di tufo, anticamente utilizzata come cava di zolfo, e oltrepassato un ponticello in legno, si arriva, infine, ad una spianata che si apre davanti alla cosiddetta grotta solfatara, su cui ribollono alcune risorgive di acqua solforosa.

Per non perdere nessuna delle meraviglie naturali è fortemente consigliato di iniziare la visita proprio dal parcheggio della Diosilla per poi raggiungere le rovine seguendo prima l'itinerario rosso e poi la stradina che dalla solfatara porta all'altura di Monterano (3500 metri). Altrimenti, soprattutto se non amate il trekking e siete interessati a visitare esclusivamente le rovine, dirigetevi direttamente al parcheggio di Monterano e proseguite a piedi per 200 metri.

 

Per chi ama la natura, i boschi e le passeggiate sarà felice di sapere che nei pressi c’è anche la magnifica Macchia Grande di Manziana! Si tratta di una magnifica selva di cerri secolari, farnie e betulle oggi protetta come Sito di Importanza Comunitaria (SIC).

Oltretutto, questa è una zona di acque sulfuree che risalgono in superficie: nei pressi c’è l’area protetta del Monumento naturale Caldara di Manziana, ribollente di acque sulfuree, che i geologi fanno risalire ad un passato vulcanico non del tutto estinto (in effetti, siamo in zona dei laghi ex vulcani, Bracciano, Martignano e Vico).

Dal punto di vista botanico la zona è interessante per la presenza della betulla, una specie tipicamente nordica che qui è riuscita ad acclimatarsi grazie alle caratteristiche umide e fresche della conca.

 

PONTE DEL DIAVOLO

Nei dintorni, in località Prati di Canale, c’è anche il Ponte del Diavolo. Fu costruito per consentire l’attraversamento del fosso alla strada preromana, utilizzata in età repubblicana per collegare la via Clodia allo stabilimento idroterapico delle Acque Apollinares Veteres (Bagni di Stigliano). Il ponte presenta particolarità costruttive analoghe al romano ponte Loreto di Lanuvio, come l’andamento obliquo rispetto all’asse del sottostante corso d’acqua.